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Spotify fa male agli esordienti

Spotify fa male agli esordientiThom Yorke

Thom Yorke Attacco su Twitter contro la piattaforma streaming

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 16 luglio 2013

Streaming. Un clic e ti si apre un mondo musicale, bastano pochi spiccioli o un po’ di pazienza nel sorbirsi qualche promo pubblicitario, se proprio lo vogliamo gratis… Spotify è il colosso del «solo ascolto, senza scaricare», con milioni di file musicali a portata di mouse. Ma tra gli artisti, c’è chi dice no come Thom Yorke, voce dei Radiohead leader degli Atoms for peace che stasera faranno tappa a Roma all’Ippodromo di Capannelle per PostePayrock in Roma e domani seconda e conclusiva tappa del breve tour all’ippodromo di San Siro, ng. La voce androgina del rock e dell’elettronica rilancia un tweet di Nigel Godrich, produttore e compagno di band negli Afp. «È un piccolo e insignificante gesto di ribellione» dice Godrich, ma «andava fatto. Spotify fa male alla nuova musica».

E non è stata una frase di circostanza, tanto che ieri mattina hanno tolto dalla piattaforma digitale prima The Eraser (il progetto solista di Yorke uscito nel 2009) e il recentissimo Amok, l’album del debutto del quintetto (gli altri tre sono Flea, Joey Waronker, Mauro Refosco). Un’operazione rischiosa perché oggi Spotify è una potenza, un’armata nel mondo musicale che non viaggia più nei negozi – ormai estinti – ma su quelli virtuali. Ci sono arrivati anche i Pink Floyd nelle scorse settimane, o chi cura le loro lucrosissime royalties. Ad oggi si calcola che Spotify abbia fatto intascare qualcosa come 250 milioni di dollari in diritti d’autore. Ma è ovvio, che a guadagnarci sono solo in pochi, gli emergenti si spartiscono gli spiccioli. Ed è questa l’accusa mossa da Godrigch e Yorke: «A farne le spese è l’arte» un’accusa che rimbalza poi sui social network, verso «i vecchi manager, che stringono in una morsa il sistema della distribuzione» mentre le «piccole etichette non riescono neppure a tenere accese le luci». Il punto è che «incidere album costa caro», un sistema che premia solo le major con un infinito catalogo. «Se la gente, nel 1973, avesse ascoltato i Pink Floyd su Spotify piuttosto che comprare il disco, dubito che avrebbero potuto realizzare The dark side of the moon. Sarebbe stato troppo costoso».

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