Dal campo di calcio al campo di battaglia. I calciatori ucraini che la domenica cavalcavano il rettangolo verde per contendersi la palla, hanno lasciato il campo di gioco per imbracciare il fucile. Colpito da un missile è già caduto il miglior calciatore della serie B ucraina Dima Martynenko, 25 anni, l’anno scorso capocannoniere. È morto a 19 anni anche l’atleta della nazionale juniores di Biathlon Yven Malyshev. L’ex campione del mondo e dell’Europa di judo Georgii Zantaraia, a Tokyo nel team olimpico ucraino, difende con le armi in pugno Kiev.

Sasha Volkov, stella della nazionale di basket dell’Urss con la quale ha vinto anche l’oro olimpico a Seul nel 1988, da qualche settimana all’età di 58 anni è nelle fila della Resistenza ucraina e spara contro i russi. È passato dalle piste di sci di Pechino alla neve del terreno di scontro Bohdan Tsymbal, 24 anni e nono nel Biathlon. Crepe si manifestano anche sul fronte dello sport russo. Il capitano della nazionale di calcio Artem Dzyuba, che ha parenti in Ucraina, ha rifiutato la convocazione dell’allenatore per un raduno a Mosca, anche se i russi sono esclusi dalle competizioni internazionali come decretato dalla Fifa e dall’Uefa. Olga Smirnova, prima ballerina del Bolshoi ha lasciato qualche giorno fa il corpo di ballo moscovita dichiarando di vergognarsi per la guerra in Ucraina. Intanto, la Federcalcio italiana ha assegnato la direzione di gioco della partita di domani Inter-Sampdoria femminile all’arbitra ucraina Katerina Monzul da pochi giorni in Italia.

Della Resistenza fa anche parte il battaglione Azov costituito dai gruppi ultrà neonazisti di alcune squadre di calcio ucraine, circa duemila giovani, finanziato dall’industriale Arsen Avakov, ministro dell’Interno dei vari governi che si sono succeduti dalla rivolta di piazza Maidan del 2014 fino al 2021. La guerra mescola le carte e anche la geografia dei gruppi ultrà, compresi i filorussi della squadra di calcio del Donetsk oggi più vicini alla Resistenza ucraina che ai missili di Putin.

Quei giovani atleti che hanno già sacrificato la vita scegliendo di combattere contro l’invasore russo, ci riportano agli sportivi che in Italia, ma anche in altri paesi europei, scelsero la lotta partigiana per combattere contro il nazifascismo. Alcuni di loro erano stati campioni di calcio e beniamini delle folle, altri stelle del rugby, del pugilato e del ciclismo, già affermati campioni come Gino Bartali. Partigiano fu il ciclista Alfredo Martini, futuro Ct della nazionale, nel rugby Battagion, Torcellan e Battaglini. Potevano tutti godersi l’agio che si erano guadagnati, invece scelsero di imbracciare il fucile e di aiutare in vario modo i partigiani, mettendo a repentaglio la loro vita. Repubblichini furono il ciclista Fiorenzo Magni, processato nel Dopoguerra per l’eccidio partigiano di Valibona, il calciatore del Bologna Dino Fiorini, che vinse quattro scudetti negli anni ‘30 e tanti altri sportivi che aderirono alla Repubblica di Salò di Mussolini.

Scelse la Resistenza Raf Vallone, il bello del cinema e del teatro nel Dopoguerra, ma negli anni ‘30 giocatore del Torino con il quale vinse la Coppa Italia nel ‘35. Aderì a Giustizia e Libertà. Catturato a Como dai nazifascisti fu messo su un treno diretto in Germania, scampò alla morte buttandosi giù dal treno. Perse la vita con le armi in pugno Bruno Neri, valido giocatore della Fiorentina e del Torino, vinse l’oro a Berlino nel ‘36 con la nazionale olimpica di calcio guidata da Vittorio Pozzo. Mentre si recava con alcuni partigiani a recuperare aiuti lanciati dagli aerei degli Alleati, si imbattè all’improvviso in una pattuglia di nazisti, ci fu uno scontro a fuoco e il calciatore morì.

Il centrocampista Staccione, che giocò nella Cremonese e nella Fiorentina con Bruno Neri, nel 1935 finita la carriera tornò a Torino dove lavorò alla Fiat. Qui fu tra gli organizzatori dei grandi scioperi del marzo ‘44 contro il nazifascismo e la guerra, arrestato dalla polizia segreta fascista fu deportato a Gusen, dove morì. Calciatore e partigiano fu Carlo Castellani dell’Empoli il cui stadio porta oggi il suo nome.

Anche Guido Tieghi della Pro Vercelli, prese parte alla lotta partigiana. In seguito divenne un promettente calciatore conteso dalle grandi del calcio nel Dopoguerra e quando giocava è stato anche presidente dell’Anpi di Vercelli. La sua carriera di calciatore ebbe una brusca interruzione quando negli anni ‘50 subì un processo perché accusato di aver ammazzato quattro persone negli scontri partigiani, ma risultò innocente. Fu partigiano Antonio Bacchetti, calciatore dell’Inter e del Napoli di Achille Lauro all’inizio degli anni ‘50. Nel ‘52 subì un processo mentre vestiva la maglia del Napoli, fu accusato di aver assassinato durante la Resistenza in Friuli un impiegato delle tasse che taglieggiava i contadini costringendoli a consegnargli sacchi di grano che rivendeva. Nonostante quell’esecuzione fosse stata ordinata dal Cln provinciale di Udine, Bacchetti fu riconosciuto colpevole. I processi ai due famosi calciatori e più in generale ad alcuni partigiani che avevano combattutto, si inserirono poi nel quadro della Guerra Fredda di cui si è tornati a parlare proprio in queste settimane, anche se in contesti storici nettamente diversi.

Mai come ora il Cio e la Fifa, massimi organi dello sport e del calcio internazionale, si sono immediatamente allineati alla politica, decretando l’esclusione della Russia dallo sport e dai mondiali di calcio: non si è fatto ricorso al solito principio secondo cui lo sport non c’entra con la politica. Quando il sibilo delle bombe tornerà al silenzio, gli atleti ucraini sopravvissuti sotto quale bandiera gareggeranno se il loro Paese sarà sotto il controllo della Russia? O ancora, saranno costretti a subire anche loro un processo dall’invasore russo per aver osato difendere la libertà? A volte la storia si ripete e spesso si prende gioco dei più coraggiosi.