I larici (Larix decidua) sono i custodi più longevi delle nostre montagne. Alberi plurisecolari, eccezionalmente millenari, sopravvivono al passare delle epoche, alle guerre, alle difficili condizioni climatiche che si manifestano intorno ai duemila metri. Nel corso di questi anni di alberografie e scarpinate ne ho incontrati diversi. “Larix maxima”, le immense conifere che costellano le montagne del mondo, sono ovviamente emblema della resilienza e della tenacia. Manifestazione di radici esposte, cortecce levigate, contorsioni lignee degne di un ginnasta olimpionico. Tronchi segnati non di rado dal fragoroso movimento di quella stamperia universale che noi riconosciamo grazie a quel che resta di un indecifrabile poema del tuono. Anni fa, dedicandogli un intero libro, ne parlai in termini di «foreste scolpite», ovvero quei luoghi arborei dove gli alberi sono sculture viventi – ma talora anche non più, viventi – al limite della montagna rocciosa, la montagna degli scalatori, la vera montagna per gli amanti delle cime; soldati inamovibili, hanno il potere di fare per l’anima quel che un tempo si faceva col fiore del cardo e lana: tolgono i nodi, le imperfezioni, le impurità. Attraversare questi imperi del bosco ultimo può aiutarci a cardare quella nostra dimensione vaga ma possente che chiamiamo “spirito”.

CONFINE FRANCIA-LIGURIA, siamo nel Parco Naturale delle Alpi Marittime, al confine col Mercantour. Si raggiunge il comune di Pietraporzio, una strada si arrampica sulla montagna che lo sovrasta per terminare nel parcheggio di Pian della Regina. Da lì parte un sentiero che conduce al Rifuzio Zanotti, costeggiando il corso del Rio del Piz che ci regala anche una piccola cascata fra le rocce. E solitario, al centro di una depressione desolata e rocciosa, svetta, a lato del sentiero, il grande larice di queste montagne. Viene chiamato Lou Merze Gros. Fra tutti i larici che ho avuto l’incanto d’incontrare questo mi è parso il maggiore, per stazza, per prepotenza, per morfologia. Più volte ho atteso il manifestarsi del tramonto appollaiato al suo piede rugoso, odorando il profumo emesso dalle sue resine, ovviamente più percepibile in estate e al principio dell’autunno. La sua storia è stata decantata oramai in tanti libri, la sua radice alzata sopra un sasso, e quella targa in pietra inchiodata maldestramente nel suo tronco turchino: «I louma fait polissia», traduzione: abbiamo fatto pulizia. Fu opera degli alpini del Battaglione Dronero che qui stazionarono nei mesi di agosto, settembre e ottobre dell’anno 1936. Sono trascorsi quasi ottantatre giri di calendario, l’Italia era in disordine al tempo e lo è quanto mai oggi. L’unica costanza è inlignita nel respiro controllato e la crescita perenne di questo vasto larice che le stime degli esperti attestano prossimo ai 650 anni, facendone uno dei due alberi più annosi del Piemonte; l’altro è lo stanco tiglio di Macugnaga, nell’Ossola. Altezza ventitré metri, circonferenza del tronco che varia dai 660 cm agli otto metri.

BISOGNA TRASVOLARE LE VALLATE della provincia “granda” – il cuneese – e approdare in Val Chisone, torinese, per raggiungere un lariceto storico, il primo esempio di “bandita” che incontriamo lungo questo viaggio. Ne incontreremo altri. Un tempo il bosco veniva bandito per favorirne lo sviluppo: in alcuni casi come paravalanghe naturale, in altri casi per usi civili, come ad esempio “armeria” dove le repubbliche marinare prelevavano i legni (l’esempio citato ogni volta è la foresta del Cansiglio, per la Serenissima). Il bosco bandito che sormonta l’abitato di Chambons, di fronte al celebre Forte di Fenestrelle, era bandito per impedire che una valanga rovesciasse via le modeste abitazioni, un maestoso colpo di scopa, con dentro umani, fatiche e bestie. Venne coltivato a partire dalla fine del 1400. Ospitava, nella parte più alta, esemplari molto vecchi che purtroppo ho fatto in tempo a veder spegnersi. Il più grande era rimasto in piedi per dispetto, il suo tronco, perforato da funghi e formiche, misurava 530 cm. Recenti lavori – una strada tracciata nel suo cuore – ne ha purtroppo ulteriormente indebolito l’integrità. Vi restano pochi esemplari maestosi, secolari, forse bicentenari. Qui, prima di me, ci veniva a camminare l’Edmondo De Amicis, che ne scrisse in nel libro Alle porte d’Italia (1892): «E vediamo di là dal torrente la Selva di Chambons, la più bella delle Alpi Cozie, vasta, fittissima e bruna, come una moltitudine innumerata di giganti, affollati sui colli e pei fianchi delle montagne, che aspettino un comando misterioso per scendere, e inondare la valle e irrompere nel Piemonte». Non pare di leggere Tolkien?

Proseguendo si arriva in Valle d’Aosta dove il larice compone diverse formazioni di per sé monumentali, come ad esempio le celebri “flotte” di Artalle (comune di Rhêmes-Notre-Dame) e Bien (in Valsavarenche), che difendono le abitazioni, oramai più abbandonate che animate, di due borghi alpini, nel vasto ventre frondoso del Parco Nazionale del Gran Paradiso. Una quarantina ed una ottantina di larici secolari, i primi dei quali riposano sui sogni delle abitazioni, con esemplari che toccano talora i trenta metri di altezza, i quattro metri di circonferenza del tronco e i quattro secoli di esistenze. Bisogna venire qui a fine ottobre-primi di novembre, quando le chiome si incendiano, e lo sguardo si addensa di pagliuzze dorate. L’incanto, vivo comunque in ogni mese o stagione, a fine autunno tocca vette emozionali inaudite. Due campioni solitari invece si trovano, uno a Morgex, sulla cima dell’Alpe Licony (1884 mt), lungo un percorso di alcune ore di cammino segnalato da una freccia – dispettosa – Arbre monumental / Pianta monumentale, con i suoi mille anni stimati (probabilmente favoleggiati), ed un altro, più comodo e raggiungibile, nel comune di Verrayes. Si raggiunge l’area attrezzata di Champlong, a 1600 mt di altitudine. Sconsiglio di venire in visita nei fine settimana, meglio un desertico e spopolato giorno feriale. Si parcheggia e si attraversa il minuto assembramento di edifici in legno seguendo le indicazioni del Tor de la Brenva (il termine locale “brenva” significa larice), 1.4 km. Bosco, sentiero, larice monumento. Corteccia cannellosa, grosse placche lignee, un tronco dai fianchi larghi che divampa in due braccia sollevate, per un’altezza ad ultimo ramoscello che sfiora i quindici metri. 460 cm l’abbraccio del tronco (apd). Standomene qui, la schiena posata contro il suo tronco, nel sussurro di un vento leggero che si trascina nel bosco, ho modo di ripensare, nuovamente, quale delizia sia il profumo pungente delle resine riscaldate dal sole: non è uno degli odori più gioiosi e angelici del pianeta?