Con 171 mila nuovi casi positivi al coronavirus e soprattutto 333 decessi per Covid in 24 ore, non si può certo dire che l’ondata di Omicron sia conclusa. Ma rispetto a ieri ci sono 31 persone positive in meno nei reparti di terapia intensiva e 41 negli altri reparti. E questo fa sperare di aver superato il momento peggiore.

L’ULTIMO REPORT dell’Istituto Superiore di Sanità conferma con dati un po’ più solidi l’appiattimento delle curve pandemiche. Gli epidemiologi non danno troppo peso al numero assoluto dei casi in gran parte asintomatici, che nelle scorse settimane è schizzato in su anche per colpa della corsa al tampone. Meglio guardare all’indice Rt, basato solo sui sintomatici, che risente meno delle strategie di testing. Secondo l’Iss, l’indice Rt era sceso a 1,31 nei giorni intorno a Capodanno e ora, sulla base dei dati degli ultimi giorni ancora da “consolidare” dovrebbe essere ormai vicino a 1, la soglia sotto la quale l’epidemia rallenta. Lo stesso segnale arriva dai numeri sui ricoveri, su cui però pesano le esclusioni dei casi positivi ricoverati per altre patologie operate da alcune regioni. Saremmo cioè davvero al “picco”, e nelle prossime settimane almeno il numero assoluto dei casi potrebbe scendere.

IL REPORT RIVELA altri aspetti rilevanti dell’epidemia. Il periodo natalizio ha visto crescere il numero dei casi anche tra gli operatori sanitari. Fino a dicembre, mese in cui la variante Omicron si è insediata in Italia, erano state poche decine a settimana. Nelle settimane di Natale e Capodanno, si sono contagiati in ventimila. I sanitari avevano ricevuto la terza dose del vaccino Pfizer già a partire dal mese di ottobre ma la Omicron è in grado di «bucarla» almeno in parte. Lo conferma il dato sui contagi tra chi aveva già avuto il Covid: dalla metà di dicembre la percentuale di reinfezioni è triplicata, passando dall’1% al 3% dei casi totali.

Anche l’approfondimento sull’età scolare rivela aspetti interessanti. Come ci si poteva aspettare, durante le vacanze natalizie i casi tra gli adolescenti tra i 12 e i 19 anni di età sono cresciuti più velocemente rispetto a quelli dei più piccoli. Evidentemente, il contagio scolastico conta maggiormente tra i bambini delle scuole dell’infanzia e primarie, a causa del minore tasso di vaccinazione (solo un quarto dei bambini in età 5-11 ha ricevuto una dose di vaccino) e di un uso più limitato delle mascherine. Chiuse le scuole, le relazioni sociali più attive degli adolescenti hanno spostato il contagio verso queste fasce. È meno scontato, invece, che la classe di età con un tasso di ospedalizzazione decisamente superiore sia quella dei bambini con meno di 5 anni, che finiscono in ospedale a causa del Covid con una frequenza tre volte più elevata rispetto ai più grandi e agli adolescenti.

COME OGNI SETTIMANA, l’Iss ha aggiornato anche le stime sull’efficacia dei vaccini, da cui emergono ulteriori elementi interessanti. Chi ha ricevuto la dose booster ha un rischio 39 volte inferiore di finire in terapia intensiva rispetto a una persona non vaccinata. Si conferma la ridotta capacità dei vaccini nel prevenire il contagio, con una riduzione del rischio del 66% in chi si è vaccinato da meno di 4 mesi e appena del 34% in chi si è vaccinato da un tempo più lungo. I vaccini e le conseguenti campagne di immunizzazione, tuttavia, hanno puntato a garantire un’elevata protezione nei confronti della malattia seria per proteggere la tenuta del sistema sanitario. E secondo i dati dell’Iss, anche chi si è vaccinato da oltre quattro mesi e ha non ha ricevuto il booster rimane protetto all’89% dai sintomi gravi, anche nelle classi di età più a rischio.

CON UNA PROTEZIONE così elevata anche sul lungo periodo, la campagna per la terza dose nei paesi ricchi avrebbe potuto essere meno precipitosa. E meritava maggiore ascolto l’appello dell’Oms affinché la corsa al booster non ostacolasse l’accesso ai vaccini ai paesi più poveri, in particolare nel continente africano da cui è emersa la variante Omicron. Oggi, secondo i dati di ourworldindata.org, su dieci dosi somministrate nel mondo ben sette sono «booster». Nel frattempo, in Africa otto persone su dieci ancora attendono la prima dose.