Osservare la vita fittizia di New York dall’empireo dei suoi grattacieli, guardare in basso verso esistenze che trascorrono automatiche in un’abitudine calcolata. Si tratta di attività che potrebbero imporre a chi gioca dietro la maschera di Peter Parker e Miles Morales una visione distorta di quel popolo numerico in una metropoli numerica, alimentare lo sguardo distaccato del super umano verso l’umano, trasformare la tragedia in una commedia tramite l’alchimia filosofica dell’altezza, succede in tanti videogiochi questa disumanizzazione del simulacro laddove il popolo non è che un elemento dello scenario, un’ombra tra le ombre in una messa in scena fondata su un protagonismo assoluto.

Così tanto varrebbe volteggiare eleganti e divini nelle tute da aracnide, negando ogni gravità, trascurando ogni obiettivo in una ebbra, gratificante ed egoistica vertigine, anche perché comunque navigare la metropoli tramite le ragnatele è un esperienza giocosa e visionaria che produce un grande spettacolo, una gratificazione eccellente per gli occhi e per le dita.

Spider- Man 2 di Insomniac Games per Playstation 5 potrebbe essere solo questo, una danza bella e superficiale del dio/giocatore sulle teste distanti delle imitazioni di persone. Ma non è così, persino dall’altezza più vertiginosa coloro che abitano la New York del videogioco non risultano effimeri, neanche quando la lontananza nega loro la visibilità, sono invece sempre percepibili, importanti ed esistenti con una peculiare «unicità» perché con questo popolo si condivide non solo uno spazio ma un insieme di emozioni e di necessità, così che prima di essere super eroi si è membri di una comunità e si prova un’empatia scatenata proprio da problematiche condivise. Sembrano pensate proprio per questa vicinanza le missioni secondarie connesse alla fotografia, dove non si catturano immagini di celeberrime locazioni ma frammenti peculiari della quotidianità, discreti frammenti urbani. Inoltre sono innumerevoli i segmenti senza maschera, momenti di uno strano neorealismo, come quando ci si aggira lieti e smascherati tra le attrazioni del Luna Park di Coney Island o si visita il museo di Harlem in occasione di un Community Pride, ammirando i cimeli di musicisti, artisti e poeti come Josephine Baker, Charlie Parker, Langston Hughes o Gabriel Jones. Ci sono anche molte piccole storie struggenti o sentimentali che raccontano parentesi di vita di persone comuni.

Malgrado la stupefacente qualità con la quale è illustrata New York di giorno, di notte, con il sole, la luna, sotto le nuvole o bagnata dalla pioggia, esplorarla non è un’attività assimilabile a quella del turismo virtuale, tramite i due Spider-Man si è indotti a credere di fare parte della metropoli, di essere suoi cittadini e non curiosi visitatori, di abitarla.

Spider-Man 2 risulta quindi un videogame sul valore dell’ordinario, più che dello straordinario, dove essere super eroi non genera delirio di onnipotenza ma alimenta un senso del dovere sofferto quanto necessario, una responsabilità gravosa verso la comunità, un’abnegazione filantropica che non ci fa mai dimenticare che ci sono esseri umani dietro la maschera, il cui esistere si sovrappone, per qualche ora, a quello di chi li controlla. Più che sugli uomini ragno, Spider-Man 2 è un gioco su Peter Parker, Miles Morales, Mary Jane, Harry Osborne, «persone» e non astrazioni. La dissonanza tra il ruolo di super eroi e la quotidianità più volte difficile, dolorosa e umiliante permane per tutto il videogame, con l’illustrazione di personaggi vittima di insuccessi, sconfitte personali, delusioni.

Peter Parker, appena assunto come insegnante, viene licenziato già durante il preludio del gioco per essersi allontanato dalla sua classe allo scopo di fermare la progressione distruttiva del colossale Sandman. Miles Morales non riesce a dedicarsi allo studio e ai suoi sentimenti. Persino un super cattivo come il micidiale cacciatore Kraven mantiene una sua sofferta seppure impazzita umanità, un «essere» folle e spietato del quale comunque si intuiscono la disperazione e l’impotenza di chi giunge alla fine. Il trionfo è sempre accompagnato da un senso di colpa, dalle responsabilità verso la comunità che negano quelle verso se stessi e le persone più vicine. Ci vorrà la mente aliena del simbionte Venom per evidenziare il dolore rimosso dell’eroe, per lusingarlo con la promessa di un benessere che con la sofferenza annullerebbe anche l’essere umani.

Malgrado sia vieppiù tacciato di una poco videoludica «cinematograficità» come altre esclusive Playstation, in Spider-Man 2 si gioca assai e bene, in diversi modi: dai combattimenti frenetici o strategici ai vertiginosi inseguimenti, dalla risoluzione di un’enigmistica non complessa ma varia e affascinante ai rari ma bellissimi giri in bicicletta per le strade trafficate. Curioso inoltre come spesso la «cinematograficità» di un videogioco sia usata per squalificarlo, come se ogni gioco non fosse anche cinema inteso sia come visione che messa in scena realizzata, con i suoi tempi e i suoi piani, da chi gioca. Se lo si osserva mentre qualcun altro lo gioca vi è più «cinema» in Spider-Man 2 che in tutti i film dedicati all’eroe, escludendo quelli di Sam Raimi.

Colossal con un’anima intimista, Spider-Man 2 si esperisce in equilibrio tra ludibrio e sentimento, un esempio di quelle produzioni milionarie sulle quali si sta allungando una sinistra ombra di precarietà e di insostenibilità proprio per lo sforzo produttivo che impongono, manifesto di una identità e di una qualità Playstation che si spera non sia annacquata nel mare assai meno interessante che è quello dei «game as a service» verso la quale Sony sembra avere puntato, una scelta commerciale che può essere ingannevole e rivelarsi quindi fallimentare, considerando quanti sono i giochi di questo tipo che non hanno conseguito il successo sperato, trasformandosi nella rovina di interi team di sviluppatori.