Più che un accordo, un massacro consensuale. Il via libera della commissione Europea alla nascita di Ita, la compagnia che sostituirà Alitalia, è arrivato con il sì del governo italiano a tutte le condizioni capestro chieste dalla commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager sulla totale discontinuità con la vecchia compagnia.
Dopo mesi di tira e molla che hanno impedito a Ita di decollare nella stagione più favorevole – l’estate – il governo Draghi mercoledì sera ha definitivamente alzato bandiera bianca, arrendendosi su tutta la linea.
Naturalmente il governo prova a piegare la realtà parlando di «conclusa positivamente», come annuncia il Mef a metà pomeriggio. Ma appena viene reso pubblico il piano industriale aggiornato di Ita, la verità diventa inattaccabile. A parte la già scontata partenza solo «il 15 ottobre», sono il numero di aeromobili e il livello occupazionale a gettare nel dramma gli 11mila lavoratori di Alitalia e a provocare la rabbia dei sindacati.
Addirittura la nota del Mise è accompagnata da un incredibile condizionale: «I lavoratori Alitalia che potrebbero essere assunti nella nuova compagnia Ita sono 2800 nel 2021 e 5750 nel 2022».
I numeri sono figli dello «spezzatino» totale della vecchia Alitalia. Ita infatti potrà avere direttamente solo il settore volo mentre tutto il resto andrà all’asta, compreso il marchio Alitalia con in più la certezza da parte di Ita di non poter avere la manutenzione o l’handling: i 5 mila lavoratori sono dunque ad un passo dal licenziamento. E Ita non potrà avere nemmeno «Millemiglia», il programma di fidelizzazione con i punti per i clienti, anch’esso andrà all’asta.
Più chiaro è il comunicato di Ita che ha subito riunito il Cda, con l’ad Fabio Lazzerini coadiuvato dal neo presidente Alfredo Altavilla, ex Fca. «All’avvio Ita opererà con 52 aerei che crescerà nel 2022 fino a 78». Solo a fine 2025 la promessa è di arrivare a «105 aerei, 81 dei quali di nuova generazione (il 77% della flotta) per ridurre significativamente l’impatto ambientale». I dipendenti di partenza saranno «2.750-2.950» – il che significa circa 8.200 esuberi – e saliranno «a fine piano (2025, e non 2022 come scritto dal Mise, ndr) a 5.550-5.700 persone». Addirittura Ita mette le mani avanti anche sotto l’aspetto del costo del lavoro anticipando la richiesta di «un nuovo contratto di lavoro per maggiore competitività e flessibilità».
Per quanto riguarda i famosi slot, gli spazi per i voli, Quanto agli slot, «Ita partirà con l’85% degli slot oggi detenuti da Alitalia sull’aeroporto di Milano Linate e il 43% degli slot su Roma Fiumicino». Sono piochissimi e naturalmente per i restanti slot gli avvoltoi stanno già volando, a partire da Micheal O’Leary di Ryanair che ieri ha fatto dichiarazioni entusiaste, soprattutto su Draghi, dando notizia di «colloqui che ho avuto a Roma con il governo dove mi è stato chiesto se siamo pronti a lavorare con la nuova Alitalia nell’ottica di un accordo di feederaggio», termine che potrebbe significare che Ita sarà vassalla di Ryanair.
La nuova compagnia servirà all’inizio solo «45 destinazioni con 61 rotte che saliranno a 74 destinazioni e 89 rotte nel 2025». Sulla rete di lungo raggio – la più redditizia – solo dall’inverno ci saranno «collegamenti su New York (da Roma e Milano), Tokyo Haneda, Boston e Miami (tutte e tre da Roma), solo dall’estate 2022 «nuovi voli su San Paolo, Buenos Aires, Washington e Los Angeles».
La reazione dei sindacati non si fa attendere. «È inaccettabile che su 10.500 lavoratori vengano assunti solamente 2.750-2.950 il primo anno. È un piano debole anche in prospettiva ricavi fino al 2025», affermano in una nota Filt Cgil, Fit Cisl, Uilt e Ugl I sindacati chiedono una convocazione da parte del governo, anche perché, spiegano «manca ancora e sempre di più tutta la parte relativa alla regolamentazione del mercato italiano, in chiave anti dumping sociale e salariale, posta in essere da alcuni vettori low cost». Nel mirino c’è naturalmente Ryanair.