Nei secoli il virus è stato protagonista di molte narrazioni ma nella nostra epoca abbiamo per lo più interpretato l’idea della pandemia come la proiezione di inquietudini profonde, di timori ancestrali, senza forse volerne cogliere gli accenti profetici, anzi spesso pensando che il timore dell’epidemia fosse, almeno per il mondo occidentale, un capitolo chiuso. Nella scorsa primavera, quando l’incubo è diventato reale, ci siamo trovati anche psicologicamente impreparati e la reale drammaticità della situazione ha assunto, pure per i più fortunati, una valenza fortemente straniante: sebbene non l’avessimo mai davvero vissuta, questa esperienza era in qualche modo già presente nell’immaginario collettivo, nutrito negli anni da resoconti storici e distopie letterarie, cinematografiche o televisive. Proprio questa dimensione, emotivamente intensa ma per molti versi onirica e sospesa, è quella evocata dai dipinti del Corona Diary di Renzo Ferrari, esposti sino al 10 ottobre a Lugano, negli spazi della Galleria La Colomba. Sono opere di differenti dimensioni, e dunque di diverso impatto, che si danno come pagine di un diario scritto con le immagini della pittura nei difficili giorni del lockdown. In un momento eccezionale, l’artista procede secondo i modi tipici del suo fare, esito di decenni di appassionata e coerente pratica pittorica e ritorna su un procedimento che lo vede da tempo perfettamente a suo agio: basti pensare all’intenso World Diary del 2015.

Ferrari, con i suoi quadri si confronta direttamente con ciò che sta accadendo intorno a lui e nel restituire le sue emozioni e le sue riflessioni trascende decisamente il registro della cronaca, attingendo invece alla sfera dell’immaginifico e del simbolico. Le opere in mostra nascono dal concreto incarnarsi, in forme animate da colori forti, di una immaginazione colta e vivace, che prende spunto dalla contingenza ma fa riferimento a un patrimonio condiviso, a tutte le paure rimosse e latenti che il «nuovo» virus ha scatenato. Come ha scritto Luca Nicoletti in catalogo, «Ferrari ha capito subito che bisognava andare più a fondo per capire l’inquietudine di questa stagione e gli spettri inconsci che poteva richiamare. Non restava a quel punto che misurarsi con la memoria, quella personale e soprattutto con quella storica e collettiva, se non con archetipi che vanno ancora più a fondo» (Renzo Ferrari Corona Diary, Skira 2020).

Ecco che il racconto diventa riflessione, ricerca, volontà di trovare le tracce di questa esperienza nel passato e in tutto quel patrimonio di immagini che esso ci ha tramandato, traducendole in allegorie. La Morte Falciatrice, i Plaga Doctores, i personaggi surreali, mitologici o dell’iconografia dell’arte, campeggiano nello spazio angusto dipinto da Ferrari su tavole, tele e carte. Essi vengono evocati dall’artista con tratti essenziali, molto sintetici e resi espressionisticamente tesi da un cromatismo squillante, acido e contrastato. Un mondo di immagini che cattura al primo sguardo e conduce nella traduzione visiva di una realtà che, questa volta concretamente, abbiamo vissuto tutti.