Sarà capitato a molti di interrogarsi, o almeno avanzare qualche curiosità, su come vivono e cosa pensano i numerosi operatori umanitari che nelle parti più scomode e disastrate del mondo, vivono e lavorano, quasi sempre per Organizzazioni Non Governative, assolvendo ai compiti più disparati, e spesso umili. Da quelli sanitari all’istruzione, dal dedicarsi instancabilmente e coraggiosamente a salvare migranti, a coloro che esercitano in condizioni estreme la professione medica o infermieristica, e in generale tutti coloro che lontani da casa propria lavorano instancabilmente, e spesso rischiosamente, per la vita, la dignità e i diritti di sconosciuti estranei.
Non è un tema moralistico: tutti sappiamo cosa ne può pensare Salvini, che in più di una occasione ha affrontato in tribunale proprio quel tipo di interlocutori (per altro senza spuntarla…). Ora ci aiuta a conoscere un po’ di più quelle umanità una visione teatrale. Ha avuto quasi un debutto in Italia infatti (subito dopo la prima rappresentazione a Ginevra, la cui Comédie ha elaborato e lanciato il progetto, in maggio al Piccolo di Milano) Dans la mesure de l’impossible , ovvero Per quanto sia impossibile, il nuovo spettacolo di Tiago Rodrigues, che proprio a quell’argomento è totalmente dedicato.

IL REGISTA portoghese non è nuovo a «sperimentazioni» sulla realtà e sulla cultura, ma oggi la sua autorevolezza è accresciuta dall’essere stato nominato direttore, a partire dall’edizione 2023, del Festival di Avignone, la più importante e prestigiosa manifestazione teatrale europea. L’udinese Centro Servizi e Spettacoli del resto aveva già collaborato con lui, avendolo chiamato a tenere una sessione della prestigiosa Ecole des Maitres.

L’IMPIANTO dello spettacolo è molto semplice e austero: sotto una grande tenda, cupola e baldacchino, che si può muovere a mano con qualche fatica, quattro attori (una assente a Udine per Covid) e un musicista, raccontano ed evocano in prima persona vicende di operatori diversi, tra i moltissimi di cui sono state registrate le dichiarazioni, in particolare a Ginevra dove hanno sede la Croce rossa internazionale che Medici senza frontiere. Lo spettacolo diviene così una sorta di «autocronaca», talvolta una confessione, su cui può anche insinuarsi una venatura di delusione, tutto in prima persona o nel racconto «aggiustato»degli attori che di quelle persone riportano le testimonianze. E questo riscalda ovviamente il cuore degli spettatori.
È un’esperienza nuova, anche rispetto ad altro teatro-verità cui possiamo aver assistito. Anche perché il tema è bruciante, e occupa in un modo o in un altro la nostra informazione quotidiana. Il volontariato ha cambiato funzione in questi anni, dalla «beneficienza» di antica memoria siamo passati a qualcosa che salva la vita stessa di altre creature. Questo risalta in quei racconti riportati sulla scena, anche se non mancano sprazzi dolorosi, e perfino scabrosi, di cui quegli operatori umanitari sono stati testimoni, anche tra i loro colleghi.
Quello che manca semmai, è una più precisa «connotazione» di quei racconti: messi uno di seguito all’altro, in un anonimato senza nessuna identificazione nemmeno geografica, rischiano a tratti di risultare quasi «atti di dolore» da antico catechismo. Del resto, senza nulla togliere al valore di questa esperienza, Tiago Rodriguez spesso procede per identificazioni collettive, se non proprio sommarie, di tutti i personaggi. Si ricorda il ciabatttare indistinto di tutti insieme, nuovi e vecchi padroni del Giardino dei ciliegi l’estate scorsa a Pompei. O anche il pubblico chiamato a scegliere libri in un’altra sua celebre performance. Forse l’esperienza ventura di Avignone lo spingerà a scoprirsi di più, come l’arte richiede.