«La Breda è salva, viva la Breda!», scrive su facebook Massimo Bugani, vicecapo della segreteria di Luigi Di Maio. «L’hanno salvata i lavoratori che si sono fatti un culo così», sbotta, sempre via social, il segretario della Fiom emiliano romagnola Bruno Papignani.
Non è un dialogo, perché su questa vertenza quello tra governo e Fiom non c’è più da tempo, ma è in queste due frasi che si racconta la svolta di Industria Italiana Autobus (Iia), due stabilimenti a Bologna (l’ex BredaMenarini) con 150 dipendenti e ad Avellino con 270 operai. Martedì l’assemblea dei soci ha ripianato i debiti e iniettato nella società 21 milioni di euro. Industria Italiana Autobus insomma non porterà i libri in tribunale, come invece sembrava potesse accadere per tutto il 2018. L’azienda respira e in più il controllo è tornato in mani pubbliche: l’agenzia governativa Invitalia (braccio operativo del ministero dello sviluppo guidato da tempo immemore dal sempre verde Domenico Arcuri) e Leonardo-Finmeccanica (gruppo che sotto la gestione Mauro Moretti aveva venduto tutto il settore civile per specializzarsi nella difesa) arrivano in due al 50,02% delle quote.
Resta però da fare il piano industriale, da trovare un socio privato a cui assegnare il 30% del capitale sociale – avrà sei mesi per sottoscrivere l’aumento di capitale -, da garantire da ora in avanti i pagamenti regolari degli stipendi agli operai di Bologna e da trovare un nuovo accordo per la cassa integrazione ad Avellino.
Critica sarà la scelta socio privato, e da questo punto di vista si guarda in Europa o ancora più lontano. Ma di nomi al momento nessuno all’orizzonte, anche se nel mondo 5 stelle c’è l’ipotesi «grandi produttori di bus di caratura mondiale» espressione che ricorda «i cinesi di King Long» evocati dal fondatore Stefano Del Rosso nell’ormai lontano 2014 e mai materializzatisi.
Nella ricerca di imprenditore si cimentò il governo Renzi e finì malissimo. «Ora la musica è cambiata», dice il sottosegretario del M5s Carlo Sibilia. Non ne è sicura la Fiom: «Tutto è stato fatto senza alcuna trasparenza verso i lavoratori – tuona Michele De Palma della Fiom-Cgil nazionale – La situazione è inaccettabile, le cose le scopriamo dalla stampa e al ministero non risponde nessuno. Serve subito un piano per rifare ripartire gli stabilimenti e dare un lavoro agli operai». La Fiom dell’Emilia Romagna è ancora più dura nei suoi giudizi politici, e le aperture della primavera 2018 verso i 5 stelle sembrano ormai acqua passata. Anche perché tutti ricordano il video che Di Maio pubblicò su facebook in cui si annunciava il salvataggio di Iia con l’arrivo di Ferrovie dello Stato. Alla prova dei fatti di Fs – che ha la gatta da pelare nel ben più grande salvataggio di Alitalia – si sono perse le tracce e ora la sfida per il governo sarà trovare un socio privato forte, che sappia fare ripartire davvero quello che nelle speranze di tutti dovrebbe diventare il polo pubblico della mobilità sostenibile italiana, e che invece per ora resta un’azienda dove non si produce nulla, con due stabilimenti inutilizzati, 270 operai in cassa integrazione da anni ad Avellino e 150 pagati a Bologna per fare molto poco, visto che fino ad ora tutte le commesse sono dirottate in Turchia. Una delocalizzazione di fatto.
«Abbiamo salvato l’azienda e fatto un miracolo – spiega il deputato M5s Generoso Maraia – I debiti superavano il fatturato e i fornitori non erano più disposti a cedere nemmeno un bullone. Adesso si potrà ripartire». «Abbiamo visto passare sei governi e sette ministri dal nostro stabilimento – dicono gli operai di Avellino, in crisi da un decennio – a questo rilancio crederemo solo quando ci sarà davvero è la fabbrica tornerà a funzionare».