La giustizia maschilista ha colpito ancora. A generare scandalo è nuovamente una sentenza su uno stupro, ancora una volta particolarmente odioso. Stavolta si tratta di una minore di soli 14 anni circondata e stuprata da cinque ragazzi, tutti adulti, che a turno l’hanno violentata (un quarto d’ora a testa) in una fabbrica abbandonata dopo una festa a Manresa, vicino Barcellona, nel 2016. Il tribunale ovviamente ha condannato i 5 giovani (uno è stato assolto perché non è stato provato partecipasse alla violenza) a pene fra i 10 i 12 anni, anche perché c’era una testimone che ha potuto corroborare i fatti, ma il punto è che sono stati condannati per «abuso sessuale» e non per «stupro».

Il discutibile e ambiguo codice penale spagnolo, infatti, distingue fra due livelli di gravità della violenza sessuale. Il caso più grave è quando il delitto viene commesso contro l’esplicita volontà della vittima: in sostanza, paradossalmente (e maschilisticamente) l’onere della prova ricade sulla vittima, che deve dimostrare senza ombra di dubbio che non era d’accordo con la violenza. Nel caso specifico, la giovane adolescente aveva bevuto e fumato una canna: pertanto, secondo la perversa logica giuridica, essendo parzialmente incosciente non aveva potuto esprimere alto e chiaro a un gruppo di ragazzi adulti (sulla cui consapevolezza di trattarsi di fronte a una poco più che bambina i giudici scrivono che non ci sono dubbi) che no, non desiderava essere stuprata ripetutamente. Lo stesso tipo di polemica si scatenò ad aprile dell’anno scorso nel famoso caso del “Branco” (la Manada): anche in quel caso i cinque stupratori (di una diciottenne) vennero condannati solo per abuso a una pena meno pesante.

IL TRIBUNALE di Barcellona ammette che il crimine è stato «estremamente intenso e specialmente denigrante», bontà dei magistrati, ma che non si tratta di aggressione perché i criminali «hanno potuto realizzare gli atti senza usar alcun tipo di violenza o intimidazione per vincere un’opposizione che non esisteva». Insomma, colpa della ragazza, che ha bevuto, fumato e non è stata sufficientemente assertiva nel dire di no (come se questo avesse potuto cambiare l’esito della situazione, tra l’altro).

E comunque questo non è neppure vero perché, secondo i ricordi frammentari della vittima, uno degli stupratori aveva in mano quello che le pareva una pistola (il tribunale non considera questo un fatto provato). Persino la pubblica accusa aveva deciso di modificare la tipologia di reato da abuso ad aggressione durante le udienze: ma i giudici nella sentenza si limitano a dichiararsi «sorpresi» per questo cambio di criterio secondo loro non giustificato nell’arringa finale. Come pena aggiuntiva gli stupratori devono risarcire la vittima, congiuntamente, con ben 12 mila euro. Tanto vale per i giudici il trauma che si porterà appresso per tutto il resto della sua vita.

LA SENTENZA della Manada del 2018 generò un’enorme ondata di proteste per le strade della Spagna, tanto che il governo del Pp dovette istituire una commissione incaricata di riformare il Codice Penale. Commissione formata, sembra uno scherzo, da 20 uomini. Lo scandalo fece correggere il tiro, e successivamente vennero nominate 28 persone, 15 donne e 13 uomini. Il gruppo si è riunito molte volte e una proposta di riforma importante è stata inviata al governo un anno fa: ma da febbraio la Spagna è senza governo e nessuna riforma può essere approvata.

Fra le raccomandazioni della commissione, la sparizione del termine «abuso sessuale» e che tutti i delitti contro la libertà sessuale vengano definiti «stupro», con una aggravante nel caso siano «violenti e intimidatori»; che nel caso gli aggressori siano più di due, lo stupro sia automaticamente considerato violento e intimidatorio. A queste raccomandazioni, l’esecutivo socialista, secondo un articolo del País, che ha contattato fonti governative, vuole aggiungere una aggravante nel caso l’aggressore sia partner o ex della vittima e un aumento generalizzato della pena.