Da ieri in molte regioni spagnole dove non era festa (e da oggi nelle altre) alcuni sono tornati a lavorare. Formalmente, si è tornati alla situazione vigente fra il 14 e il 29 marzo: confinamento per tutti, chiusura di tutti gli stabilimenti commerciali eccetto quelli di prima necessità, più telelavoro possibile e uscite di casa solo per spesa, medico, animali domestici e poche altre situazioni di emergenza (come nelle ultime due settimane), ma in più si ritorna a poter uscire per andare a lavorare. Si tratta soprattutto di grande industria e costruzioni (ma non dove possano esserci persone esterne ai lavori). A Barcellona, per esempio, il comune ieri calcolava che il 90% delle opere private non potrà riprendere.

Il governo ha chiesto di garantire al massimo le misure di sicurezza: mantenere la distanza a 1-2 metri, le usuali misure di igiene e in più l’uso di mascherine, soprattutto nel trasporto pubblico. Ieri nella comunità di Madrid, la più colpita dal virus in Spagna, nelle principali fermate e stazioni di metro e treni venivano distribuite mascherine comprate dal governo. In Catalogna, dove si riprende a lavorare oggi, la distribuzione delle mascherine inviate da Madrid (la comunità autonoma, al contrario per esempio di quella valenziana, non è stata in grado di acquistarne di proprie) inizierà oggi.

Ma anche in tempi di coronavirus il surrealismo regna sovrano. Il governo avrebbe fatto arrivare a Barcellona un milione 714 mila mascherine. Apriti cielo: il governo catalano all’unisono, e in particolare l’ineffabile consigliere degli interni Buch, ha accusato Madrid di prendere in giro i catalani. Il 1714, infatti, è la data simbolo in cui i Borbone vinsero la guerra di successione sconfiggendo i catalani (sostenitori degli Asburgo).

Una data che è considerata dal nazionalismo l’inizio dei soprusi del centralismo spagnolo. «Non si gioca con la storia», ha tuonato Buch. Che non venga in mente al governo di usare il 1939, data della vittoria di Franco (come se il dittatore avesse sconfitto solo i catalani), nell’invio di maschere o test. «Non glielo permetteremo», ha minacciato. E comunque, dicono da Barcellona, sono troppo poche e la Catalogna è contraria a alleggerire il confinamento, come altre comunità. I dati per ora continuano a migliorare: il tasso di contagio è al di sotto di 1 (ogni contagiato infetta meno di una persona in media) e le vittime ieri scendevano a 517 (per un totale di 17500).

Durante il confinamento, sostiene l’epidemiologo Antoni Trilla (uno degli esperti consultati dal governo spagnolo e da quello catalano), la mobilità è ridotta dal 70%, e nelle ultime due settimane di blocco è scesa fino all’80%. Anche se gli effetti del ritorno al lavoro di quel 10% si vedranno fra una settimana, c’è ragionevole ottimismo nel governo che la curva non si impenni. Il segretario generale di Comisiones Obreras, principale sindacato spagnolo, Unai Sordo, ha osservato che ieri non si è verificato un «massiccio» ritorno al lavoro. La sua preoccupazione è che nelle piccole imprese non vengano applicati i protocolli di sicurezza. Perché nelle grandi, come Seat (dove i sindacati hanno denunciato l’impresa proprio perché non ha negoziato le misure di sicurezza coi lavoratori) i sindacati vigileranno, ha detto.