La patrimoniale, tornata di moda perché è presente nella prima finanziaria del governo di coalizione rosso-viola ora in discussione in parlamento, in Spagna ha avuto una vita accidentata. Dopo la fine della dittatura, entrò per la prima volta in vigore nel 1977, con la prima riforma tributaria che introdusse nel paese l’equivalente dell’Irpef. Rimase di carattere temporaneo fino al 1991 (terzo governo di Felipe González, socialista), quando divenne permanente.

Rimase in vigore fino al 1° gennaio 2008, quando ancora un governo socialista, stavolta guidato da Rodríguez Zapatero, la abolì. Marcia indietro di Zapatero giusto prima delle elezioni del 2011: doveva tornare in vigore solo per due anni (sperava che la misura fosse vista come di sinistra quando i socialisti facevano acqua da tutte le parti, soprattutto sul fianco sinistro). Mariano Rajoy vinse le elezioni, la mantenne e dura fino a oggi.

Dal 2018, sulla carta, la Spagna ha in vigore la tassa patrimoniale più alta di tutta l’Ocse, che il nuovo governo vorrebbe portare dal 2.5% al 3.5% per i patrimoni di più di 10 milioni di euro. Peccato però che sia tutto fumo, infatti l’ala sinistra della coalizione non l’ha mai usata come bandiera, preferendo parlare di «aumento della progressività del sistema fiscale» attraverso una serie di aggiustamenti delle aliquote e di vantaggi fiscali per le società (per esempio l’aumento dell’aliquota per i redditi da lavoro di più di 300.000 euro dal 45 al 47% o delle rendite da capitale dal 23 al 26% per più di 200.000 euro). In realtà infatti, quest’imposta è delegata alle regioni, cosa che fa che nella pratica sia molto più bassa, e che i limiti siano variabili, fino all’estremo di Madrid dove i grandi patrimoni pagano esattamente lo 0% di imposte e infatti si calcola che siano 6000 i contribuenti ricchissimi che negli ultimi anni si sono trasferiti nella regione. Dove si paga di più si arriva al 3,75%.

La patrimoniale però è solo un dettaglio di un problema sempre più al centro del dibattito politico: il dumping fiscale, cioè la concorrenza che si fanno le comunità fra di loro sulla questione tasse, e ancora di più il fatto che alcune comunità (come le province dei paesi baschi o la Navarra) possono gestire le proprie imposte con amplia autonomia di riscossione fiscale per ragioni storiche risalenti al diciannovesimo secolo. Ma per il governo aprire questo capitolo è molto complicato.