Dopo più di 8 mesi di interim, il Regno di Spagna ha un nuovo governo. Nonostante i timori, nella votazione finale di ieri i numeri sono stati quelli attesi. 167 sì contro 165 no e 18 astensioni. Dato il margine esiguo, il più esiguo che un governo abbia mai avuto in Spagna, tutti i protagonisti hanno tenuto il fiato sospeso fino all’ultimo, ieri. Quando la presidente del Congresso Meritxell Batet ha letto il risultato, dai banchi di socialisti e Unidas Podemos è esploso un applauso liberatorio, sono sgorgate lacrime – l’immagine di commozione del futuro vicepresidente Pablo Iglesias e della numero due di Podemos, Irene Montero, anche lei futura ministra e sua compagna, è in certo modo emblematica.

LA DEPUTATA VIOLA Aina Vidal, che ha voluto esserci nonostante il cancro, è stata la protagonista secondaria della giornata: ha ricevuto l’unico applauso bipartisan della giornata.

Ci sono volute due ripetizioni elettorali e 4 tentativi di investitura per arrivare a questo risultato. Indipendentemente da quello che accadrà ora – e tutto lascia pensare che la strada sarà in salita – quanto accaduto ieri è davvero stato storico.

È LA PRIMA VOLTA che la Spagna ha un governo che non sia monocolore dai tempi della Seconda Repubblica, negli anni 30. È anche la prima volta che ci saranno due ministri comunisti (ce ne sono stati nella storia solo altri due, entrambi ai tempi della repubblica): saranno il coordinatore di Izquierda Unida Alberto Garzón, che assumerà probabilmente il ministero del Consumo, e la galiziana Yolanda Díaz, quello emblematico del Lavoro.

Entrambi sono iscritti al Partito comunista spagnolo. È anche la prima volta che Podemos entra al governo, un partito con soli sei anni di vita. Di fatto, sulla carta, questo a oggi è il governo più a sinistra di tutta la Ue. Nel nuovo esecutivo guidato dal socialista Pedro Sánchez, 48 anni il prossimo 29 febbraio, dovrebbero esserci una ventina di ministri (nell’esecutivo uscente erano 17), fra cui i cinque ministri viola (Iglesias, vicepresidente, Montero, all’uguaglianza, Garzón, consumo, Díaz al Lavoro e infine il sociologo in area Comuns e sponsorizzato da Ada Colau, Manuel Castells all’Università. L’organigramma era pronto da giorni ma Sánchez ha annunciato che la lista dei ministri verrà resa nota la settimana prossima. Intanto oggi alle 11 giurerà nelle mani del monarca Filippo VI.

ANCHE IL DIBATTITO di ieri, assai più agile della maratona di sabato e domenica scorsi, ha lasciato intuire che la destra non abbasserà il livello dello scontro. La linea difesa daPablo Casado, Pp, Santiago Abascal, Vox, e Inés Arrimadas, Ciudadanos, è che si tratta di un governo illegittimo e criminale, i cui «soci» rappresentano «una eccezione alla democrazia» (Casado), sotto «ricatto» degli indipendentisti; un «matrimonio fra la menzogna e il tradimento» (questo è Abascal), la cui «compagnia assicurativa» è l’Eta (dissoltasi nel 2018). Persino quando Sánchez ha citato il presidente della seconda repubblica Manuel Azaña «Tutti siamo figli dello stesso sole», ha suscitato proteste della destra che in un momento è arrivata (come domenica) ad acclamare «Viva il Re! Viva la Spagna!».

LAURA BORRÁS di JuntsxCat ha mantenuto il No, con l’argomento che un Sì avallerebbe la repressione. Per Esquerra republicana (che ha mantenuto l’astensione) stavolta ha parlato Montserrat Bassa, sorella dell’ex ministra catalana Dolors, in carcere, con un tono assai più duro: «non mi importa un cavolo della governabilità in Spagna», un paese che ha incarcerato sua sorella.

Pablo Iglesias ha detto che la destra «non ci attaccherà per quello che faremo, ma per quello che siamo», e ha chiesto «fermezza democratica» a Sánchez contro di loro, che ha avvertito dicendo che rivendicare la monarchia come se fosse cosa loro è il miglior modo per avvicinarne la fine. Stessa idea trasmessa da Aitor Esteban, del partito nazionalista basco (per il Sì): è stato il re ad affidare l’incarico a Sánchez, state chiamando criminale anche lui?, ha chiesto polemico, mentre Óscar Matute, di Bildu (astensione), ha difeso appassionato la lotta di classe rispetto a quella identitaria. Intanto a Bruxelles continuano a muoversi le pedine del rompicapo catalano: Oriol Junqueras è stato eletto vicepresidente del gruppo Verde. Ma rimane in carcere.