Una mostra appena conclusasi a Tokyo ha celebrato i quarant’anni dall’uscita di Space Invaders, uno dei videogiochi che più hanno fatto la storia e la fortuna del settore diventandone, per un certo periodo, il simbolo. Progettato nel 1978 da Tomohiro Nishikado per conto della giapponese Taito, il videogioco in cui bisogna difendere la terra da un’invasione aliena è stato uno dei capostipiti di quella tipologia di giochi per arcade che tanto avrebbero influito sulle abitudini dei giovani tra la fine degli anni settanta e la metà degli anni ottanta.

Sale giochi, gettoni e capannelli che si formavano attorno al campioncino di turno sono scene che hanno definito più di una generazione, lo snodo dell’immaginario che le sale giochi avrebbero contribuito a creare, ripreso e trasposto anche per il grande ed il piccolo schermo, ha rappresentato per alcuni anni un nuovo modo di raggrupparsi e socializzare, anche quando paradossalmente l’attenzione era tutta rivolta verso lo schermo dei «cassettoni» che erano, al tempo, i videogiochi. Questa cultura dei videogame arcade non sarebbe passata inosservata anche ai livelli cosiddetti più alti, basti ricordare il volume pubblicato dallo scrittore Martin Amis nel 1982, intitolato proprio L’invasione degli Space Invaders, libro ora ritenuto un vero e proprio oggetto di culto ed in cui lo scrittore britannico descrive l’universo dei videogiochi e delle sale giochi, di cui era un assiduo frequentatore.

La mostra a Tokyo ha celebrato Space Invaders presentando non soltanto materiali originali dell’epoca, ma creando di fatto un’enorme sala giochi dove i visitatori hanno potuto provare delle versioni del videogioco davvero speciali, fra cui uno Space Invaders gigante da giocare sulle finestre interne del palazzo, 7 metri in altezza e 15 in lunghezza. Nishikado crea Space Invaders come evoluzione elettronica di un precedente gioco meccanico che la stessa Taito aveva fatto uscire nel 1972, Space Monsters, a cui il programmatore giapponese aggiunse le influenze estetiche di alcuni dei suoi lavori preferiti come La guerra dei mondi di H.G. Wells.
Amante soprattutto della versione cinematografica del 1953, quella diretta da Byron Haskin, Nishikado trae ispirazione anche dalle astronavi extraterrestri presenti nella pellicola per il design degli alieni del gioco, delle icone pixellate che ora sono diventate quasi sinonimo di videogame, o almeno di una certa estetica dei videogiochi legata agli anni ottanta.

Uno dei segreti del successo stratosferico che Space Invaders ottenne fin da subito fu la sua semplicità di base che allo stesso tempo fu anche un lampo di genio, un cannone laser posto nella zona bassa dello schermo e che è possibile muovere solo orizzontalmente, spara contro gli alieni che poco a poco scendono dall’alto verso il basso.
Furono naturalmente anche le congiunture pop-culturali ad essere più che propizie: era il giugno del 1978, poco più di sei mesi dopo l’uscita nei cinema del primo Guerre Stellari/Star Wars di George Lucas, fenomeno culturale che, fra le altre cose, avrebbe ridato slancio e popolarità allo spazio come luogo epico da esplorare e da immaginare.
In Italia Space Invaders sarebbe giunto nel 1980 sempre come gioco arcade e più tardi l’invasione sarebbe stata completata con le versioni del gioco per Atari e negli anni successivi anche per Commodore 64 e Game Boy.

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