Le colonne sonore sono una parte essenziale del successo di un film, sia che si usino pezzi già conosciuti, magari di classica, che brani o sinfonie create ad hoc. Succede però facilmente che, in un’industria in continuo movimento come il cinema, qualcosa non vada per il verso giusto. Può essere un cambio di regia con i gusti del progetto mutati, può essere la mancata alchimia tra il musicista e le immagini, tant’è che queste partiture non finiscono a commento della pellicola, ma, nei casi migliori, solo nel cd della ost, nei casi peggiori, scartate e dimenticate. Molte di queste però ad ascoltarle sono delle eccitanti sorprese, figli della luna che vengono nascosti alla luce del sole perché non più graditi, certamente da riscoprire. A onor del vero, in mezzo, ci sono pure degli orrori che mai ascolteremo, lavori d’incredibile bruttezza, frutto dell’ispirazione scomparsa di autori anche affermati. Per finire, «nei quartieri dove il sole del buon dio non dà i suoi raggi» ci si imbatte in brani minori, non all’altezza della commissione, sostituiti da altri oggettivamente più estrosi. Però, anche questi, nel fallimento, possono rivelare delle sorprese, magari solo ripensando a un film che, in una dimensione alternativa, sarebbe uscito con quel brano al posto di un altro. D’altronde la musica è lastricata anche di buone intenzioni.

DA PAURA
Iniziamo subito con un artista, Dario Argento, che, fin dal suo film più famoso, Profondo rosso, ha fatto della sinergia musica e immagini, un marchio di fabbrica. Impossibile scindere le sinfonie incalzanti e serrate dei Goblin dagli omicidi esoterici di Suspiria, o ancora non provare ansia davanti ai cruenti delitti di Phenomena senza le potenti note di Locomotive dei Motörhead, soprattutto in contrapposizione con la dolcissima e sinfonica Valley dell’ex Rolling Stones Bill Wyman. Proviamo, per esperimento, a mettere a zero il volume della tv quando in Tenebre si svolge l’assassinio della giornalista Tilde e della sua compagna Marion, proprio mentre Argento si lancia in virtuosismi incredibili con la macchina da presa. Senza la colonna sonora rock progressive di Simonetti, Pignatelli, Morante e Morante, ossia i citati Goblin, la tensione scema, non si prova più quell’aria claustrofobica e disperata; il thriller, privato della musica, diventa elegante bassa macelleria di rasoi e sangue. Dall’altro lato però, lo stesso brano acquista potenza e concretezza soltanto abbinato alle selvagge immagini degli omicidi argentiani, in quella incredibile e inimitabile concezione artistica del regista del mettere in scena la morte come una bella arte figurativa.
Da notare che proprio per Profondo rosso, non furono i Goblin di Claudio Simonetti la prima (fortunata) scelta ma, in ordine, vennero contattati in primis i Pink Floyd che, dopo una disastrosa esperienza con Michelangelo Antonioni per Zabriskie Point, rifiutarono con garbo, poi il jazzista milanese Giorgio Gaslini che compose invero la maggior parte della colonna sonora. Solo che per Argento mancava ancora qualcosa, quel quid che rendesse un ottimo thriller un cult movie, e questo andava ricercato soprattutto nella musica. Fu la compagna del regista, Daria Nicolodi, a scovare, negli archivi della Cinevox, una demo di un gruppo chiamato Oliver (i futuri Goblin), perfetti per quello che il maestro del terrore italiano cercava: un sound più «elettrico». Così il pianista viene affiancato da questo nuovo gruppo e, a poco a poco, sempre più soffocato dalle aspirazioni della band, incompatibili con l’idea di una colonna sonora più classica composta da Gaslini, che si allontana definitivamente, non senza risentimenti, dal progetto. Profondo rosso diventa perciò un veicolo anche per far conoscere al mondo i Goblin, autori di solo tre brani della soundtrack (Profondo rosso, Death Dies e Mad Puppet), ma artefici di una rivoluzione anche della partitura già composta, un rock progressive scatenato che riesce a fondere nelle sue radici persino l’anima jazz dell’artista originale, creando un incredibile connubio di suoni eterogenei e intuizioni incredibili. Gaslini viene sì goblinizzato, ma non svilito e guadagna, suo malgrado, quel quid più sfrenato che Argento cercava.

UNA FANFARA
Altro autore molto amato dal regista romano fu Keith Emerson, musicista della storica band prog rock Emerson, Lake & Palmer, autore di una delle più felici colonne sonore di un film del maestro del brivido, Inferno. Per questa sfrenata danza di morte, Argento cercava ispirazioni diverse dai Goblin, voleva stavolta qualcosa di più classico senza però ovviamente essere solo classico. Per Inferno Emerson lavorò partendo dalla rielaborazione di alcune celebri composizioni di Giuseppe Verdi, come il Va, pensiero: il risultato è emozionante e innovativo, con quell’idea unica e azzardata, tipica dell’artista, di rivoluzione e rielaborazione di capolavori musicali del passato. Inferno, anche a livello sonoro, è una sorpresa, un tassello importante di una sfrenata ricerca creativa che contraddistingue la prima parte della carriera di Dario Argento.
Esaltato da questo incontro proficuo, il regista, stavolta nelle vesti di produttore, richiamò Emerson per firmare la colonna sonora di un altro horror, La chiesa, diretto dal talentuoso Michele Soavi.
«Erano solo dei provini, ma era veramente una cosa spaventosa. Neanche un bambino avrebbe composto una musica come quella. Una specie di marcia roboante, sembrava la fanfara dei carabinieri», raccontava Argento nel libro intervista Nuovo cinema Inferno del 1997 ad opera di Daniele Costantini e Francesco Dal Bosco. Emerson, perso nei mari esotici dei Caraibi, dove si era trasferito, aveva smarrito l’estro, tanto da venir cassato anche da Alejandro Jodorowsky per la colonna sonora di Santa Sangre, altro horror del 1989. Nella soundtrack de La chiesa rimangono pochi, insapori brani dell’artista: l’unico degno di nota è Prelude 24 (From Well Tempered Clavier), un riadattamento vivace di Bach, sul modello di Inferno.

SCELTE DISCUTIBILI
«007» è senza dubbio una serie di film che hanno fatto della musica di successo un vanto: basti pensare a Shirley Bassey con Goldfinger, ai Duran Duran per un capolavoro synth pop come A View to a Kill, o a Live and Let Die di Paul McCartney & Wings. Molti artisti però sono caduti strada facendo dopo aver composto brani che non sono stati reputati alla fine così incisivi come si pensava. È il caso dei Radiohead per Spectre, ventiquattresimo film della serie, accantonati a favore di Sam Smith con la sua Writing’s on the Wall. «Non è piaciuta – spiegò all’epoca il leader del gruppo Thom Yorke su Twitter – ma è diventato un pezzo nelle nostre corde e che amiamo davvero molto». La loro Spectre, come il film omonimo, era un brano nello stile cupo unico e malinconico dei Radiohead, meglio, per molti fan, persino della traccia scelta per la soundtrack ufficiale, definita dagli appassionati «minore, rispetto agli altri Bond».
Certo è che la dipartita più scottante fu quella di Johnny Cash per Agente 007-Thunderball (Operazione tuono). Si capisce però facilmente perché la sua canzone fu scartata: emotivamente straordinaria, ma troppo western e poco spy, troppo monocorde e autoriale rispetto a un più accomodante Tom Jones che rifece con esuberanza uno stile molto vicino al classico mondo sonoro 007 di John Barry (l’incipit strumentale, in un diluvio di arpeggi e sontuose percussioni, cita alla lettera, ma con gli accenti spostati, la parte iniziale della terza sezione del James Bond Theme).
Tra le scelte più discutibili di colonne sonore scartate, il premio va però senza dubbio a quella della Justice League composta da Tom Holkenborg meglio conosciuto come Junkie XL, sostituito, nel girato uscito al cinema, da Danny Elfman. Recentemente, grazie all’uscita di una «director’s cut» dell’opera, si è potuto ascoltare lo straordinario e mastodontico lavoro del musicista. «La colonna sonora per questo film è stato un progetto come nessun altro nella mia carriera», ha spiegato il compositore. «La musica è, a volte, completamente elettronica, e altre volte completamente orchestrale. Comprendeva molti elementi globali, rock e persino trap».
Per assurdo, lo stesso Elfman, anni prima, venne sostituito da Paul Haslinger per l’horror Wolfman. In questo caso però la soundtrack totalmente rock del nuovo musicista fu così mal considerata dai produttori da richiamare ancora Elfman. D’altronde la musica è fatta anche di geni incompresi.