Ettore Sottsass è un prolifico e poliedrico personaggio-chiave per chi voglia comprendere evoluzione ed eredità degli anni d’oro del design italiano. Nato a Innsbruck da padre (omonimo) architetto e madre austriaca, laureato al Politecnico di Torino, dopo anni di prigionia patiti in un campo oltreconfine durante e dopo la seconda guerra mondiale, Sottsass si trasferì a Milano nel 1948, divenendo in breve tempo noto protagonista della scena artistica e culturale della città meneghina. Esponente del MAC (il Movimento per l’Arte Concreta, partorito dalle menti di Atanasio Soldati, Gillo Dorfles, Bruno Munari e Gianni Monnet con lo scopo di promuovere l’arte non figurativa), art director di Poltronova e consulente per il design Olivetti – le due aziende a cui sono legati alcuni tra i più noti e significativi oggetti di Sottsass –, fin dai suoi primi anni di attività ha maturato una visione del design come strumento di critica sociale, che lo porterà ad affermare che «il design è un modo di discutere la vita. È un modo di discutere la società, la politica, l’erotismo, il cibo e persino il design. Infine, è un modo di costruire una possibile utopia figurativa, o di costruire una metafora della vita. Certo, per me il design non è limitato dalla necessità di dare più o meno forma a uno stupido prodotto destinato a un’industria più o meno sofisticata; per cui, se devi insegnare qualcosa sul design, devi insegnare prima di tutto qualcosa sulla vita e devi insistere anche spiegando che la tecnologia è una delle metafore della vita».
Per celebrare il centenario della nascita di Sottsass, la Triennale di Milano ha promosso una ricca monografica, aperta fino all’11 marzo, che trae spunto da un’opera non realizzata, il libro intitolato There is a Planet. Immaginato agli inizi degli anni novanta per l’editore tedesco Wasmuth (ma edito per la prima volta in occasione della mostra, grazie a Electa) il volume è una raccolta in cinque gruppi di fotografie scattate dal designer nel corso dei suoi viaggi intorno al mondo, che riflettono sull’abitare contemporaneo e, in generale, sulla presenza dell’uomo sul pianeta. Curata da Barbara Radice, compagna di vita di Sottsass per oltre trentacinque anni, la mostra è stata allestita da Michele De Lucchi, che con il progettista tirolese condivise l’esperienza nel gruppo Memphis, e da Christoph Radl (il designer austriaco che con Sottsass fondò un’agenzia di comunicazione e lavorò nella redazione della rivista «Terrazzo», in nove stanze, dedicate ad altrettanti temi ricorrenti nel suo pensiero.
Denominati in funzione di richiami diretti a scritti, oggetti o titoli di opere di Sottsass, gli ambienti propongono una lettura della sua complessa produzione di design, architettura, grafica, pittura, fotografia, scultura e critica in una chiave diacronica, emersa da una lunga fase preliminare di analisi e studio dell’archivio dell’architetto, condotta da Radice: si va dalla stanza Per qualcuno può essere lo spazio a quella chiamata Vorrei sapere perché…, che raccoglie le ultime opere, realizzate poco prima della scomparsa avvenuta nel 2007. Passando attraverso Il disegno magico, Memorie di panna montata, Il disegno politico, Le strutture tremano, Barbaric design, Rovine e, infine, Lo spazio reale. Una fluida raccolta, all’apparenza caotica ma in realtà perfetto riverbero dell’onnivora curiosità di Sottsass, che si manifesta in oggetti come i Superbox (1957), armadi rivestiti in laminato Print a righe, ispirati a segnali stradali o distributori di benzina, o Ultrafragola (1970), l’ironico specchio della serie I mobili grigi disegnata per la terza edizione di Eurodomus, illuminato da un neon rosa nascosto nella sinuosa cornice in plastica termofonata e divenuto icona senza tempo.
Esattamente come Micro Environment, le capsule presentate da Sottsass all’ormai leggendaria esposizione del MoMA Italy. The new domestic landscape (1972), che Emilio Ambasz immaginò come omaggio alla grandeur della produzione nazionale dell’epoca. Capsule che altro non sono se non il tentativo di annullare la distinzione, tipicamente funzionalista, della casa in stanze suddivise in base all’uso che se ne fa, descritto dallo stesso Sottsass: «Pensavo che si potesse neutralizzare in qualche maniera tutta la cultura del vivere nella casa, cioè pensavo che si potesse neutralizzare l’idea che la stanza da letto è la stanza da letto, che la cucina è la cucina, e che la casa diventasse un ambiente continuo, che fosse la casa e non diverse stanze con momenti diversi dell’esistenza. Pensavo che se la moglie litiga col marito si divide questo spazio con un muro di mobili , pensavo che il mobile perdesse il suo significato simbolico e invece assumesse un significato più che altro di sostegno alla forza dell’esistenza interna, non fosse lui che suscita la presenza di nostalgie o la presenza di speranze oppure lo status, come in realtà è oggi, pensavo che la vita dovesse ricominciare ogni giorno di nuovo e che si dovesse vivere sempre in presa diretta».
Una descrizione che tratteggia in nuce le posizioni da radical designer pienamente maturate da Sottsass con l’adesione ad «Alchymia», per cui espone al Design Forum di Linz (1979) la Seggiolina da pranzo, la lampada da terra Svicolo e il tavolino Le strutture tremano: oggetti in cui, per l’appunto, l’alchimia di forme, colori e materiali tra i più disparati produce nuovi canoni estetici, che mirano a superare l’idea – derivata dalle posizioni espresse da Adolf Loos agli inizi del XX secolo – di una modernità in cui «l’ornamento è delitto».
Nella processione dall’una all’altra stanza, il visitatore è accompagnato dall’esposizione di opere contestuali ai diversi temi, appese alle pareti della galleria, tra cui spicca la collezione inedita di fotografie intitolata Le ragazze di Antibes, e dalla pubblicazione di un agevole catalogo che raccoglie la massima parte delle riflessioni di Sottsass.