A Pesaro, nella bulimica 52^ edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema con una miscellanea di proposte da far girare la testa, hanno vinto le ragazze. Di certo Valentina Nappi, per la quale in moltissimi hanno affrontato mezz’ora buona di fila per assicurarsi i 19 minuti del pornoerotico (e horror) Queen Kong diretto da Monica Stambrini : liberazione, divertimento, le parole chiave del porno al femminile alla Tavola Rotonda dedicata al tema, affollata dal pubblico delle grandi occasioni ché in effetti l’Eros liberato e intellettualmente sdoganato, molto più di thanatos acchiappa le folle. Meno sedotti, pesaresi e turisti, da certe perle del Romanzo Popolare, sezione ricca di protagoniste femminili e chissà, se si fosse saputo che c’era Barbara Bouchet a fare la go go dancing su Milano Calibro 9 di Fernando Di Leo (1972) qualcuno in più in sala ci sarebbe stato. Non si possono dimenticare poi le donne del cinema russo, ormai ospiti fisse alla Mostra pesarese, la veterana Irina Borisova ma anche esordienti come Ella Manzheeva (regista e violinista che a Pesaro ha portato il toccante Cajki, i gabbiani).

E naturalmente Léa Fehner, già a un passo dal Cesar per le opere prime nel 2009 con Silent Voice, la vincitrice del Premio Lino Micciché per il miglior film del Concorso Pesaro Nuovo Cinema, designata da Roberto Andò e sedici studenti provenienti dalle Università di cinema italiane (fra questi Gianluca Badii, Martina Belcecchi, Francesca Bonetti , Elisa Castagnetti , Paolo Rocco Coppola, Djuzepe Dalsaso , Agnese De Ioanni, Enrica Grosso, Giusy Guadagno, Eliana Lamanna, coordinati da Antonio Valerio Spera).

La Fehner ha benissimo meritato la vittoria con una pellicola già premiata dal pubblico al Festival di Rotterdam, gustosa e intensamente femminile per il tanto di vita che esprime: Les Ogres, Gli Orchi, la compagnia teatrale di giro a conduzione familiare che mette in scena coi copioni dei drammaturghi russi lo spettacolo d’arte varia di ogni consorzio sociale umano in un interno. Sotto il tendone brulica la trama molto credibile di Les Ogres tratta da una vera esperienza familiare vissuta dalla regista – che ha tirato dentro il cast padre, madre e sorella – e che ha saputo narrarla con grande energia e talento da cantastorie; nella vicenda e nell’aria che tira nella compagnia teatrale ci sono le «Notti al circo» di Angela Carter, e molto di quel Cechov – oltre che di Shakespeare – che «Gli Orchi» rappresentano nelle piazze con il tema della fuga dalla famiglia e quello attualissimo dell’importanza (e della non importanza) della maternità e dei legami di sangue.

La vena biografica, a volere trovare un altro filone nelle mille direttrici della cinquantaduesima edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, torna a Pesaro in diverse trame e domina la specialissima sezione dei super8 con due protagonisti: Giuseppe Baresi e John Porter, esponenti di un cinema personale che prende le mosse da un approccio artistico al formato. Alla Mostra hanno entrambi portato irripetibili proiezioni personali, mostrando originali mai uguali, che nel tempo, come un foglio scritto a penna, portano i segni di cicatrici, ripensamenti, usura.

«Spesso mi avvicino al lavoro con un atteggiamento di partecipazione fisica…da qui una scelta di pesi/forme differenti delle macchine da presa che uso (come cambiare pennelli a punta fina/larga)» ha detto Baresi e il collega canadese gli fa eco « ..il super8 è un formato che somiglia a un pennello o alla penna di un poeta».

Scrivere per immagini è quello che hanno fanno gli autori dei lavori mostrati a Pesaro nella sezione Critofilm curata da Adriano Aprà. Il termine lo ha coniato lo storico dell’arte Carlo Ludovico Ragghianti e indica saggi critici in forma di audiovisivi, parola inventata nel ‘52 per un film sulla pittura che schiude un immaginario incredibilmente attuale: l’immagine che approfondisce, racconta, evoca, suggerisce e promuove è stata una decina di anni fa quella del digital story telling, oggi è perfino quella dei teaser o dei book trailer.

A Pesaro la selezione di Aprà, «Cinema che pensa il Cinema», ha portato un programma di gran varietà e ricchezza (con Jean- Luc Godard, Hollis Frampton, Bernard Eisenschitz, Maurizio Ponzi ) che meriterà sicuramente un proseguo nelle prossime edizioni.

Infine, le menzioni speciali del concorso 2016 sono andate a David di Jan Tesitel, che racconta la fatica della vita e della cura del disturbo mentale e si interroga sul concetto di normalità, e Per un figlio di Suranga Deshapriya Katugampala che ha al centro conflitti generazionali e ibridazione culturale e inclusione degli immigrati. Temi di una attualità, in questi giorni nelle Marche, stringente come un boa constrictor.