Lo sciopero generale della scuola indetto il prossimo 17 maggio dai sindacati Flc-Cgil, Cisl e Uil scuola, Snals e Gilda è stato sospeso, insieme all’astensione dalle attività non obbligatorie tra aprile e maggio, dopo la promessa del governo Conte di aumenti non determinati ma stimati «a tre cifre per il personale della scuola» da definire nella prossima legge di bilancio; una regolare indizione di concorsi per gli insegnanti e percorsi semplificati di immissione in ruolo dei precari con almeno 36 mesi di lavoro e un generico impegno a salvaguardare «l’unità e l’identità culturale del sistema di istruzione e ricerca» e «uno stesso contratto collettivo» di lavoro in un paese dove la Lega al governo con i Cinque Stelle vuole l’«autonomia differenziata» e dunque la «regionalizzazione» dell’istruzione. I sindacati sostengono che proseguiranno la raccolta delle firme a contrasto di ogni progetto in questa direzione del sistema dell’istruzione.

Impegno ribadito nella risoluzione votata dalla Camera la settimana scorsa insieme all’impegno di istituire la «Flat Tax» a cui si oppone anche il mondo sindacale. L’intesa, raggiunta all’alba del giorno dopo il drammatico consiglio dei ministri che ha visto scontrarsi Lega e Cinque Stelle sul «Salva Roma» azzoppato, è stata usata dal governo Conte per dimostrare l’esistenza di una «fase due» di un esecutivo stremato dagli scontri elettorali tra alleati. Sempre che tra un anno ci sia questo governo, è stato promesso un rilancio delle sue attività incentrato su «scuola, università, turismo e agroalimentare».

LA DECISIONE di ritirare lo sciopero indetto una settimana prima delle elezioni europee del 26 maggio in cambio di un accordo generico e senza impegni precisi, ha spaccato il fronte sindacale. «Che Conte abbia distribuito solo fuffa e non si sia preso alcun impegno serio risulta lampante dalla lettura del testo congiunto uscito dalla riunione notturna – sostiene Piero Bernocchi, portavoce dei Cobas – Particolarmente clamorosa e’ l’accettazione da parte dei cinque sindacati delle promesse sul punto fondamentale dello sciopero, la regionalizzazione: punto peraltro confinato alla fine del testo dell’intesa». Gli impegni economici sono definiti «ridicoli e non suffragati né da cifre né da dati credibili». «Si sono venduti per promesse e un piatto di lenticchie sul contratto, del quale non se ne parlerà che dal 2020 con un anno che va in cavalleria» attacca Stefano D’Errico (Unicobas).

Sul recupero del potere d’acquisto degli stipendi, per i quali servono 200 euro di aumenti, non si parla di modificare il Def che prevede ulteriori tagli; sul reclutamento si ritorna ai concorsi riservati senza la stabilizzazione di docenti abilitati e precari attraverso le GaE» sostiene Marcello Pacifico (Anief). I tre sindacati confermano lo sciopero del 17 maggio. «Un accordo sul nulla» lo definisce l’Usb che sciopererà il 10 maggio con il pubblico impiego del sindacato di base. «L’unità sindacale è finita – sostiene Usb – Vogliono garantire la propria esistenza, come era già stato dimostrato dopo lo sciopero del 5 maggio 2015». «Lo sciopero non era e non è mai un atto di ostilità politica verso la maggioranza di governo – ha replicato Maddalena Gissi (Cisl Scuola) – così come l’intesa non sancisce alcuna alleanza». «E un primo risultato importante perché dimostra che l’unità dei sindacati e la capacità di mobilitazione hanno ancora la forza di produrre risultati – ha detto Maurizio Landini (Cgil) – Adesso gli impegni vanno tradotti in atti concreti. Vengano stanziate le risorse che ad oggi non ci sono».

A SCAVARE tra le parole del governo in realtà emerge la consapevolezza di un «quadro di finanza pubblica che ci vincola – ha detto Conte – Non abbiamo tantissime risorse ma bisogna anche saper spendere quelle disponibili». è possibile tuttavia fare una stima dell’impegno che si è assunto il governo. Per avvicinare «gradualmente» gli stipendi italiani alla media europea servirebbero per la scuola oltre 4 miliardi di euro. La stima è della Flc-Cgil che ha calcolato la differenza con il 2008, l’anno in cui tutto si è bloccato. Allora la media retributiva era pari a 29.280 euro. Nel 2017 era di 28.440 euro: 840 euro in meno. Sembra difficile che il governo possa mantenere l’impegno.

Si dovrà anche vedere cosa resterà di tutto questo in autunno, quando si metteranno le cifre nero su bianco. Per il momento sono state risorse irrisorie per il lavoro pubblico: nel 2021 l’aumento medio sarebbe pari a poco meno di 38 euro lordi, meno della metà di quanto necessario per la sola copertura dell’inflazione.

L’OPERAZIONE «RILANCIO» per fermare lo sciopero della scuola (ieri Salvini ha detto che la revoca è un «successo di tutti») ha irritato i sindacati confederali del pubblico impiego: «Non ci sono lavoratori di serie A e di serie B – hanno sottolineato Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl e Uil Pa – tutti i dipendenti pubblici attendono il rinnovo del contratto. Il premier ci convochi». La loro mobilitazione è prevista l’otto giugno.