L’Unione europea ha deciso la sospensione delle forniture d’armi e degli equipaggiamenti per la sicurezza all’Egitto. La misura, presa nella riunione straordinaria dei ministri degli esteri ieri a Bruxelles, ha soprattutto un carattere simbolico, visto che l’Egitto si rifornisce in armamenti principalmente negli Usa. I 28 ministri degli esteri hanno anche previsto un «riesame» degli aiuti della Ue al Cairo, come risposta all’aggravamento della violenza. La diplomazia europea è in difficoltà. Il tentativo di mediazione degli europei dopo il colpo di stato del 3 luglio, in vista di un’intesa tra militari e Fratelli musulmani, è fallito. Ieri, in una conferenza stampa a Parigi, l’ambasciatore egiziano in Francia, Mohamed Moustafa Kamal, ha messo in guardia la Ue: «È evidente che da parte nostra non possiamo accettare dagli amici che utilizzino i mezzi della cooperazione per fare pressione sulla volontà del popolo egiziano», ha affermato. L’ambasciatore ha evocato la «lotta al terrorismo» in corso in Egitto e sostenuto che eventuali «misure di ritorsione» contro il Cairo «invierebbero un segnale di incoraggiamento a chi esercita la violenza», affermando che «gli egiziani non cederanno mai di fronte all’oscurantismo». L’ambasciatore ha difeso la liberazione di Mubarak sostenendo che nessuno ha il diritto di interferire sulle decisioni giudiziarie egiziane (mentre Morsi resta in prigione ed El Baradei, scappato a Vienna, dovrà comparire in tribunale a settembre con l’accusa di tradimento).

Le parole dell’ambasciatore confermano che l’influenza europea è sempre più contestata in Egitto, non solo dal regime militare impostosi dopo il colpo di stato del 3 luglio, ma anche dalle forze regionali. In particolare, dall’Arabia saudita, che si è schierata con i militari. Il ministro degli esteri, Saoud al-Façal, ha affermato che «la nazione araba e islamica con le risorse di cui dispone non esisterà a dare aiuto all’Egitto», se l’occidente riduce il proprio sostegno.

I ministri degli esteri europei si sono messi d’accordo solo su una misura simbolica. Catherine Ashton, l’alta rappresentante della politica estera della Ue, che era stata tra i primi a incontrare il presidente Morsi dopo l’estromissione dal potere da parte dei militari, si era arrampicata sugli specchi spiegando che «per la Ue si tratta di trovare la formula per aiutare l’Egitto ad andare da dove si trova ora, là dove la maggioranza degli egiziani dicono di voler essere». Una formula alambiccata per dire che l’Europa cerca di mantenere il proprio margine di mediazione tra l’esercito e i Fratelli musulmani, con la convinzione che al Cairo dovrà venire avviato un processo politico per uscire dalla spirale di violenza e che l’Egitto avrà bisogno di aiuto per riuscirci. «Siamo pronti ad aiutare, se lo desiderano», ha affermato Ashton. L’Olanda e l’Austria hanno insistito a favore di una presa di posizione chiara della Ue, perché «la morte di 900 persone deve avere conseguenze concrete». È passata la posizione della Germania per l’embargo sulle armi. La Danimarca è il solo paese che ha sospeso gli aiuti bilaterali (4 milioni di euro). Per il momento, la Ue non ha invece rimesso in causa il programma di aiuti di 5 miliardi, approvato nel novembre 2012, ma parzialmente congelato perché l’Egitto non ha rispettato i più elementari principi democratici. L’Ue ha le armi spuntate sul piano degli aiuti militari (140 milioni dal 2009 al 2011, contro l’1,3 miliardi annui degli Usa), ma è invece il secondo finanziatore dopo il Qatar per gli aiuti alla popolazione, seguita dall’Arabia saudita e dal Kuwait. Per il momento, è stata esclusa l’ipotesi di adottare sanzioni Ue contro l’Egitto, come esistono contro l’Iran e la Corea del nord.