Nonostante l’allarme sia stato lanciato, già più volte, da diversi mesi, il governo non ha ancora reperito i fondi necessari – 1 miliardo di euro – a coprire le esigenze della cassa in deroga. Ieri lo ha confermato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, in una intervista a Repubblica, dove ha anche affrontato i nodi dell’articolo 18 – a più riprese minacciato, anche ultimamente, da parte dell’Ncd – degli esodati e delle pensioni. Poletti ha spiegato che manca appunto «un miliardo di euro», e che sono «fondi che dovranno coprire il 2014», in quanto per quest’anno si è dovuto provvedere a coprire le esigenze di cassa del 2013, «altrimenti sarebbe rimasto scoperto».

Evidentemente, insomma, il problema ha una certa urgenza, e anche se il ministro spiega che «possiamo farlo anche con la legge di Stabilità», intendendo che si può aspettare la seconda parte dell’anno, da più parti si paventa invece il rischio che ci sia bisogno di un atto precedente, magari di un decreto, in modo da coprire le esigenze più immediate e urgenti. E comunque, a “sborsare”, dovrà essere ovviamente il ministero dell’Economia: insomma il tutto si deve concordare con Pier Carlo Padoan e lo stesso Matteo Renzi.

Gli allarmi in Piemonte ed Emilia

Due soli esempi, a testimonianza che la “calma”, seppur vigile, del ministro Poletti forse è troppo ottimistica: Cgil, Cisl e Uil del Piemonte hanno lanciato l’allarme sul fatto che proprio ieri, 30 giugno, scadeva l’accordo con la Regione Piemonte, e che sulle risorse per la cig in deroga per i mesi successivi «regna la più totale incertezza». Nella sola provincia di Torino, hanno ricordato, al 15 giugno erano 4.500 le domande presentate per questo particolare tipo di cassa, per 7,8 milioni di ore e circa 15 mila lavoratori coinvolti.

Ancora, il presidente dell’Emilia Romagna, Vasco Errani, ha spiegato che «il ministero del Lavoro ha mandato una lettera nella quale si spiega che si possono firmare accordi fino al 31 agosto. Quindi ci siamo presi un altro spazio per raggiungere un risultato: assicurare per tutto il 2014 gli ammortizzatori in deroga». Insomma, da un rappresentante delle istituzioni, viene la conferma che lo stesso ministero ritiene per il momento finanziabili al massimo piani di cassa fino ad agosto.

E d’altronde l’allarme – ma più generale, non solo sulle risorse necessarie nell’immediato, ma sulla riforma della cig nel suo complesso – lo aveva lanciato qualche giorno fa la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso: sono 50 mila i lavoratori che rischiano il licenziamento a causa di un finanziamento ancora incerto della cig, mentre sul lungo termine le novità in arrivo, previste dalla riforma Fornero e in atto dal 2015, ridurranno il ricorso a uno strumento che salva tanti posti.

«Utile la ricetta Electrolux»

La riforma Fornero, come ricorda lo stesso ministro Poletti – aggiungendo che «per ora non ci sono le condizioni tecniche per smontare o cambiare radicalmente quel provvedimento» – prevede un graduale abbandono sia della cassa che della mobilità in deroga, che dovranno – una volta sparite – essere sostituite dall’Aspi, un sostegno di fatto ridotto rispetto agli attuali benefici (sarà di massimo 12 mesi, o di 18 in caso di lavoratori over 50). L’intenzione dell’attuale governo sarebbe quella di estendere – con il Jobs Act che dovrebbe essere approvato entro fine anno – un ammortizzatore a tutti i lavoratori, anche quelli oggi sprovvisti.

Il rischio però è che si getti a mare la cassa in deroga – criticata da più parti, perché finanziata dalla fiscalità generale e non da lavoratori/imprese – senza però creare nuovi strumenti realmente efficaci, universali e inclusivi. «Dovremmo riflettere sui tempi dell’attuazione della riforma Fornero – dice Canio Calitri, che per la Fiom Cgil nazionale segue il tema ammortizzatori sociali – Visto che secondo le nostre osservazioni e previsioni la crisi non è affatto finita, ma anzi si sta acuendo: i licenziamenti si moltiplicano, sia perché l’annunciata ripresa stenta, e le aziende continuano a chiudere, sia anche perché via via si esauriscono i sostegni al reddito». Dovremmo ricorrere di più – dicono ancora alla Fiom – «a modelli come quello Electrolux: cioè sostenere contratti di solidarietà e riduzioni di orario, che salvano i posti di lavoro e le aziende, senza licenziare nessuno mentre nel frattempo si ideano nuovi piani industriali di rilancio».

Ieri, tra l’altro, la ministra dello Sviluppo, Federica Guidi, ha assicurato che «il decreto sulla decontribuzione dei contratti di solidarietà è stato già firmato, e che è all’attenzione del ministero dell’Economia». Guidi parla di «problemi tecnico-burocratici» che lo rallenterebbero: noi forse potremmo intuire che non si trovano i soldi per finanziarlo, o che se ci sono magari vanno altrove. Speriamo di sbagliarci.

«Non toccheremo l’articolo 18»

«La legge delega non prevede interventi sull’articolo 18», spiega Poletti. Maurizio Sacconi, dell’Ncd, non ha mai fatto mistero di voler smontare completamente questa garanzia, ma per il ministro del Lavoro «lo Statuto dei lavoratori continua ad avere valore», e «più che di superamento, termine che lascia intendere una volontà negativa», meglio dire che «cercheremo un punto più avanzato di equilibrio».

D’altronde, va ricordato che recentemente il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha rigettato il “contratto a tutele crescenti” che si vorrebbe introdurre con il Jobs Act,chiedendo al contrario di «cambiare i contratti a tempo indeterminato». Come, non lo ha spiegato nel dettaglio. Secondo il ministro, poi, la riforma del contratto a termine starebbe andando «mediamente bene»: «Nel secondo trimestre dell’anno le imprese sembrano intenzionate ad aumentarne l’utilizzo: +7,3% rispetto al 2013».

Infine, Poletti ha spiegato che il governo si sta ponendo il problema degli esodati – dopo «averne salvaguardato altri 32 mila la settimana scorsa» – e che per le situazioni più generali di uscita anticipata dal lavoro si sta pensando a un prestito previdenziale.

E la riforma, o perlomeno una seria modifica delle pensioni, chiesta da Cgil, Cisl e Uil con l’idea di un’«uscita flessibile»? «L’età pensionabile resterà quella della riforma Fornero», risponde Poletti, non escludendo «un sostegno al reddito nel caso in cui manchi ad esempio un anno alla pensione».