C’è il detto che la foto «di famiglia» di un vertice, è il vertice. E in effetti lo scatto che ha riunito i partecipanti alla conferenza sulla Libia nel giardino dell’hotel Villa Igea, affacciato sul mare scintillante di Palermo pattugliato da corvette militari, è stato molto sofferto e atteso. Tutti in piedi per un’ora per attendere il pallido Dmitrij Medvedev, premier russo, il più alto in grado nella nomenclatura mondiale presente al vertice organizzato dal governo italiano, disertato da altri big come Angela Merkel e Donald Trump, Emanuel Macron. Medvedev -è posizionato accanto al premier greco Alexis Tsipras per la foto ricordo – è stato ufficialmente presente, fisicamente non troppo, ma ha avuto un ruolo: convincere Haftar a venire. Il contrario degli altri due protagonisti in scena, che pur avendo partecipato a incontri a margine, non figurano nell’immagine storica: appunto il generale Khalifa Belqasim Haftar e il suo grande alleato regionale, il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi.

HAFTAR DOPO l’improvvisata della prima sera in cappotto cammello, la stretta di mano con il premier Giuseppe Conte e la rinuncia a fermarsi per la cena di gala, ieri è tornato a Villa Igiea per il caffè alle 8,30. E ha partecipato anche a un vertice a tre, con stretta di mano, con il rivale Fayez Serraj e lo stesso Conte in cui, a sentire il portavoce di Palazzo Chigi Rocco Casalino «i sorrisi sono stati grandi, molto molto ampi», più che a Parigi, insomma.

HAFTAR HA DETTO e fatto cose in Italia, ma in contemporanea per il pubblico arabo ha continuato a disdegnare l’invito italiano. Parlando in arabo con la tv Libya al Hadath tradotta dall’Agenzia Nova, ha detto: «Non ho niente a che fare con la conferenza, abbiamo inviato una delegazione quattro giorni fa e penso che abbiano partecipato attivamente a tutti gli incontri», ma ha precisato di essere in Sicilia solo per incontrare altri capi di Stato, tra cui anche Conte, ma che non avrebbe partecipato ufficialmente alla conferenza «neanche fino a cent’anni». «Siamo ancora in guerra – ha continuato -, dobbiamo proteggere i confini. Sapete cosa sta succedendo nel sud e nei paesi come Tunisia, Algeria, Niger, Ciad, Sudan ed Egitto per quanto riguarda l’immigrazione illegale, che è ovunque».

L’IMMIGRAZIONE illegale, ha concluso il comandante in capo dell’Lna, la sua milizia che si chiama Esercito nazionale libico, sapendo bene cosa interessa agli europei e cosa ai libici «porta i problemi delle milizie, di al Qaeda, dell’Isis, del movimento militante islamico e di tutti gli estremisti che provengono da oltre confine». Ma a sentire Conte nella due giorni palermitana «sembrerà strano ma non si è parlato di flussi migratori, solo di come aiutare a stabilizzare il Paese e ciò indirettamente sarebbe utile anche ai migranti che hanno sempre lavorato in Libia e ora da illegali potrebbero essere regolarizzati».

Poca attenzione è stata poi dedicata al tema dei diritti umani, si è persa l’ennesima occasione per avanzare richieste di trattamenti conformi alla Convenzione di Ginevra nei centri di detenzione gestiti dalle milizie che fanno capo al premier libico Serraj o da parte della sua «Guardia costiera». Anzi, in plenaria Conte ha detto che la Libia si è dimostrata «un valido partner per combattere contro le reti di trafficanti di esseri umani». Anche se invece l’inviato Onu Ghassam Salamè ha confermato l’impegno delle agenzie delle Nazioni unite per migliorare le condizioni di reclusione, le regolarizzazioni e i rimpatri volontari.

Al Sisi non figura nella foto «di famiglia»; e non perché avrebbe creato imbarazzo al governo sul caso di Giulio Regeni, ma per la presenza di diplomatici qatarioti. Il vicepresidente egiziano Sherif Ismail presente al suo posto si è piuttosto concentrato sullo sviluppo dei progetti infrastrutturali nella regione del Canale di Suez.

IL COLPO DI SCENA c’è stato nel primo pomeriggio, prima della conferenza stampa finale, come conseguenza del lungo corteggiamento dell’Italia al generale Haftar perché si facesse vivo a Palermo, finora non proprio in buoni rapporti con Roma, come si è visto per la vicenda «irrisolta», dell’ambasciatore Giuseppe Perrone dichiarato da Haftar «persona non gradita» e in effetti rimpatriato e sospeso ad libitum «per motivi di sicurezza».

Subito dopo l’ora di pranzo la delegazione turca ha lasciato il vertice indispettita con un laconico comunicato da cui si capisce che lo scontento turco dipende dalla mancata convocazione della delegazione di Ankara al meeting informale che è stato il vero cuore della due giorni palermitana. Nella mattinata infatti sulla road map stabilita dalle Nazioni Unite per arrivare alle elezioni libiche nella primavera dell’anno prossimo sono stati chiamati intorno ad un tavolo: il premier del governo di Tripoli Serraj, l’inviato speciale dell’Onu Salamè, Conte, il vice presidente egiziano Ismail, il ministro francese Le Drian, la delegazione russa, il presidente del Consiglio d’Europa Donald Tusk, il premier algerino Ahmed Ouyahia, il presidente tunisino Essebsi, e – dulcis in fundo – il generale Haftar. Esclusa la Turchia – seppur presente ad alto livello con il vice presidente della Turchia, Fuat Oktay – che se n’è andata sbattendo la porta e protestando verso l’ingerenza delle ex potenze coloniali.

ED È STATO PROPRIO in questo incontro a nove che il generale Haftar ha fatto una concessione non da poco a proposito della fase di transizione che dovrà portare la Libia al voto, concedendo la possibilità al premier riconosciuto dalla comunità internazionale, Fayez Serraj, di rimanere al suo posto fino al compimento del processo elettorale. «Non è utile cambiare il cavallo finché non si è attraversato il fiume», è la frase semi profetica del “feldmaresciallo” della Cirenaica, acerrimo nemico della Fratellanza musulmana – e quindi dell’asse turco-qatariota – si è espresso.

IL PREMIER Conte ha ribadito anche nella conferenza stampa finale a due insieme a Salamè che l’Italia non intende intromettersi ma solo contribuire, creare opportunità di dialogo tra le parti, che la risoluzione della crisi libica «non può essere imposta dall’esterno» e si deve rispettare «la ownership libica», cioè una conferenza nazionale tra i vari attori che è il prossimo obiettivo dell’inviato Onu. Salamè ha sottolineato l’importanza della conferenza di Palermo – «abbiamo verificato un buon clima sia tra gli attori libici che nella comunità internazionale, resterà una pietra miliare». Anche se nessuno ha preso impegni nero su bianco e il processo di pace resta sempre incerto, adesso «dopo 77 incontri preparatori e si farà a gennaio».