Alla ricerca della tradizione francese : non uno slogan di partito, anche se forse avrebbe potuto funzionare in quest’anno così travagliato per la politica d’oltralpe. Si cerca invece la  musica romantica, vessillo della musica francese che peraltro ha spesso  incrociato i propri destini con quelli del potere, durante la monarchia e i due imperi e, ancora, come richiamo identitario in funzione anti-tedesca a partire dal 1870. Il festival parigino di giugno promosso dalla Fondazione Palazzetto Bru Zane, quest’anno ha costruito un percorso di carattere quasi antologico, scegliendo tre titoli operistici assai differenti per epoca, forme caratteri musicali, drammaturgici e  sociali.
Il piccolo  Théâtre du Bouffes du nord ha ospitato una riduzione da camera di  Phédre di Jean Baptiste  Lemoyne, esempio di quel ritorno al grand siècle patrocinato da Luigi XVI e Maria Antonietta. Nuove istanze gluckiane si fondono con lo stile antico, investendo con inattese fiammate pre-romantiche un Racine tutto reinventato dal librettista F.B.Hoffmann, che per Cherubini scriverà poi Medea. Ottimi Judith Van Wanroij (Fedra) e Thomas Dolié (Teseo) e il gruppo Le Concert de la Loge, modesta la mise en espace.

 
Il grand-opera, la più costosa macchina teatrale dell’Ottocento francese, è stato protagonista al Théâtre de Champs Elysées con La Reine de Chypre di Fromental Halévy, versione concertante di un titolo del 1841 così fortunato da creare una vera voga «Caterina Cornaro», cui parteciperà anche Donizetti utilizzando due anni dopo il medesimo libretto per la sua opera. Nonostante la debacle vocale del tenore Sébastien Droy (dopo il titolare Marc Laho si sono ammalati infatti anche i due tenori sostituti, l’ultimo proprio durante la rappresentazione) si è potuta apprezzare una partitura di alta qualità e ricca di ispirazione, specie nei pezzi d’insieme, costruita su un libretto movimentato che sfata il pregiudizio del grand-opera elefantiaco e statico. Perfetto aplomb per Veronique Gens, trepida Caterina Cornaro, in ottima evidenza il gruppo maschile (particolarmente  il baritono Étienne Dupuis e il tenore Éric Huchet) ma rimane da scoprire la splendida la parte tenorile scritta nientemeno che  per Duprez, passato alla storia come inventore del Do di petto: il disco forse ci risarcirà.

 

 

Hervé Niquet ha guidato i complessi dell’Orchestra da Camera di Parigi e il Coro della Radio Fiamminga con energia, nonostante stanchezze e ansie da prove supplementari con i vari tenori succedutisi nelle defezioni, ma senza offrire la ricchezza di sfumature di cui l’opera necessitava.

 
Ottimamente servita da Francois- Xavier Roth e dall’orchestra Les Siecle, Le Timbre d’argent di Saint-Saëns era invece l’evento di punta del festival, proposto all’Opéra Comique sfavillante di fresco restauro. Partitura rielaborata più volte, arrivata al successo nel 1877 e poi quasi dimenticata, Le Timbre d’argent è stata proposta nella versione  revisionata dall’autore nel 1914.

 
In Le Timbre d’argent c’è di tutto, dai wagnerismi a Carmen, da Gounod alle invenzioni di Offenbach, dalle scene sottomarine alle danze basche. Se nell’opera originale erano certo geniali prefigurazioni, nella versione definitiva prevale la rievocazione di un’epoca prossima a scomparire. Si tratta di una favola magica in cui un giovane alla vigilia del matrimonio sogna un romantico amour fou per una ballerina (protagonista muta dell’opera), garantendosi successo e denaro con il suono di un campanello demoniaco che a ogni successo toglie ogni la vita a un amico.

 
La frammentarietà del lavoro non ha trovato un alleato nel regista Guillaume Vincent che ha giocato la carta della rivista teatrale, con inserti da varietà televisivo, in cui al drammatico si sostituisce il grottesco e i momenti patetici suonano piuttosto posticci fra scene di magia e di burlesque. Buono il cast il cui spiccavano il tenore Edgaras Montvidas e il mefistofelico Tassis Christoyannis, mentre la vera star della serata è stata la danzatrice Raphaëlle Delaunay. Tutte le recite erano affollate di publico soddisfatto e plaudente: almeno da queste parti la scarsa affluenza è un fenomeno poco conosciuto.