Qualcosa sta cambiando – in meglio – nelle proposte economiche in materia di lavoro. Intendiamoci: niente di rivoluzionario, niente di radicale. Comunque da sottolineare. Due indizi fanno una prova: da una parte la nuova proposta di legge del Partito democratico sul salario minimo; dall’altra il dibattito suscitato dalla – non nuova – proposta di Pasquale Tridico sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.

È STATO ADDIRITTURA IL BOCCONIANO renziano Tommaso Nannicini ieri a presentare da primo firmatario la proposta di legge depositata al senato a nome di tutto il partito. Rispetto alla precedente proposta di Mauro Laus cambia quasi tutto. Non è più fissata una cifra di salario minimo (era di 9 euro netti l’ora mentre per i grillini deve essere 9 euro lordi) generale, ma è stabilito che ci sarà un meccanismo in base al quale assumono valore legale i minimi dei contratti collettivi nazionali firmati dalle organizzazioni più rappresentative. E saranno le stesse parti sociali a definire il salario minimo legale, che resta a questo punto residuale, e si applica ai lavoratori non coperti dalla contrattazione nazionale. Le parole di Nannicini a commento della presentazione fanno sobbalzare sulla sedia chi ricorda la sua difesa del Jobs act e della disintermediazione antisindacale: «La via maestra per alzare i salari è la contrattazione collettiva. È pericoloso impiccarsi alla cifra di un salario minimo orario perché se è troppo alta favorirebbe il lavoro nero, se troppo bassa crea una fuga dalla contrattazione collettiva. Partiamo dal concetto di “giusta retribuzione” con riconoscimento della rappresentatività sindacale contro i contratti pirata. I contratti valgono per tutti, per chi non è coperto ci sarà un salario minimo fissato da una commissione con rappresentati delle parti sociali».

UN CAMBIO DI IMPOSTAZIONE completo figlio dell’incontro della scorsa settimana al Nazareno con Cgil, Cisl e Uil. Che difatti plaudono alla novità sebbene si riservano «di valutare nel merito la proposta dopo averla approfondita».

La reazione del ministro Di Maio è quasi stizzita. «Il Pd è rinato stanco. Più che una proposta sul salario minimo mi sembra una retromarcia di un partito che ancora una volta dimostra di non voler difende chi lavora. Noi abbiamo aperto un tavolo con i sindacati sul salario minimo (in realtà bloccato da settimane, ndr). Il Pd ha proposto la patrimoniale (magari, ndr) e l’aumento degli stipendi dei parlamentari».

QUANTO ALLA PROPOSTA dell’attuale commissario dell’Inps Pasquale Tridico sul «lavorare meno, lavorare tutti» – «l’ultima riduzione di orario è del ’69-70, gli incrementi di produttività vanno distribuiti o con salario o con un aumento del tempo libero» – il ministro Di Maio è stato più possibilista: «Merita degli approfondimenti e massima discussione con le imprese e i rappresentanti dei lavoratori, non è escluso che a livello europeo possa essere una soluzione». A dir la verità la proposta aveva una valenza politica più forte quando era stata pubblicata sul blog delle Stelle una settimana dopo le elezioni vinte (12 marzo 2018) all’interno di un articolo dal titolo «Il lavoro di cui ha bisogno l’Italia» rispetto ad ora quando lo fa apparire emulo del suo predecessore Tito Boeri che allargava il suo ruolo. Prova ne sia il fatto che ieri la direttrice generale dell’Inps – sempre più vicina alla Lega – Gabrielle Di Michele si è affrettata a precisare che «la proposta Tridico non è allo studio dell’istituto».

A favore invece si schiera tutta la sinistra: da Nicola Fratoianni che annuncia «lunedì presenteremo insieme al professor De Masi la nostra proposta di legge a Montecitorio» a Sergio Cofferati che commenta con un ironico «A volte ritornano, ma nel M5s ne parla solo Tridico».

Se Confindustria si dice subito contraria utilizzando la solita litania – «In questo Paese bisogna incrementare la produttività», commenta il presidente Vincenzo Boccia – la Cgil rivendicano la primogenitura della proposta: «Tridico ha aperto un dibattito opportuno già lanciato dal nostro congresso in cui dicemmo che la riduzione generalizzata degli orari, contrattuali e di fatto, deve diventare una pratica rivendicativa», commenta la segretaria confederale Cgil Tania Scacchetti. «Per noi va relazionata ai temi della conciliazione dei tempi di vita e quelli della formazione», chiude Scacchetti.