Sofferto nei modi e nei tempi con cui è stato comunicato, a notte fonda e dopo un tira-e-molla durato dieci giorni, aspramente contestato nel merito sia a livello nazionale che internazionale, il sorprendente verdetto delle presidenziali che si sono svolte lo scorso 30 dicembre nella Repubblica democratica del Congo assegna sì la vittoria all’opposizione. Ma è diffusa, fuori e dentro il paese, la percezione che sia quella sbagliata, cioè che «la verità delle urne» tanto invocata sia stata alla fine manomessa.

NUOVO PRESIDENTE, con il 38,57% dei suffragi (l’affluenza è stata del 47,56%) sarebbe dunque Felix Tshisekedi, candidato dell’Unione per la democrazia e il progresso sociale (Udps), storica forza di opposizione; staccato di circa 4 punti l’altro oppositore, Martin Fayulu, sostenuto dalla variegata coalizione Lamuka (Risvegliati); solo terzo con il 23,84% Emmanuel Shadar del Partito del popolo per la ricostruzione e la democrazia (Pprd), da ieri ex partito al potere, ovvero l’uomo che avrebbe dovuto tenere in caldo la poltrona al presidente uscente Joseph Kabila fino alla prossima tornata elettorale, una volta superati gli intralci costituzionali che gli hanno impedito di correre già ora per un terzo mandato.

LA FRANCIA non ha fatto molto per nascondere la sua irritazione, con il ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian che di buon mattino sparava ad alzo zero sui risultati: «L’opposto di quello che ci aspettavamo, bisogna fare chiarezza» ha detto, prestando il fianco all’accusa di attitudine «colonialista» con cui ha replicato a stretto giro il governo congolese. Quanto alla “legittima” potenza coloniale, con appena un po’ più di tatto anche il governo belga ha espresso forti dubbi. Dura la Conferenza episcopale congolese, un attore chiave di questa fase così turbolenta, che parla di un esito «non conforme ai dati in nostro possesso». La Chiesa s’è fatta due conti sulla scorta dei rapporti degli osservatori sguinzagliati nei seggi di tutto il paese. E pur senza fare il nome del “suo” vincitore, è facile intuirlo.

QUELLO DI MARTIN FAYULU, una sorta di petroliere con zero esperienza politica, era stato l’unico profilo su cui si era compattato il grosso dell’opposizione. Dall’accordo siglato a Ginevra si era però quasi subito sfilato Tsishekedi, convinto dal suo partito a correre da solo. Oggi quella mossa suona come un indizio che qualcosa stava accadendo. Il secondo indizio, perché il primo c’era stato quando l’ex presidente dell’Assemblea nazionale Vital Kamerhe era passato dalle file di Kabila a quelle di Tshisekedi, con la prospettiva di diventare premier. Un’alleanza strategica per sommare i rispettivi, enormi bacini elettorali (il Kasai del nuovo presidente e il Kivu del suo socio).

DOPO IL VOTO ci sono poi stati ripetuti contatti tra l’entourage di Tsishekedi e quello di Kabila, per garantire un «pacifico trasferimento del potere» (terzo indizio). Ieri infine, celebrando la vittoria, sono arrivate parole dolci per il vecchio presidente, che in realtà ha solo 47 anni. È il quarto indizio: «Da oggi Kabila non è più un avversario ma un partner politico». Per Fayulu ce n’è abbastanza per gridare al «golpe elettorale». E se nelle roccaforti dell’Udps si fa festa, altrove il paese ieri appariva inquieto. Incidenti, sebbene di gravità inferiore alle previsioni della vigilia, si sono registrati in molte città, da Kisangani a Kananga.

Sulla prima, storica transizione democratica da quando il Congo-Kinshasa è indipendente, ora pesa l’ombra dei parallelismi dinastici che hanno messo di fronte i figli di due storici avversari in uno scontro che strada facendo potrebbe essersi trasformato in incontro, se non addirittura in un “biscotto” ai danni del terzo incomodo.

Da una parte Felix Tshisekedi figlio di Etienne, eterno sconfitto nelle urne, scomparso due anni fa; dall’altra Joseph Kabila figlio di Laurent, uno dei pochi esseri umani che sia riuscito a fare infuriare Nelson Mandela, che lo aspettava su una nave militare sudafricana con le parti in conflitto e l’Onu mentre lui marciava su Kinshasa. Venne assassinato quattro anni dopo aver rovesciato il regime di Mobutu, nel 2001. E toccò subito al figlio, ancora 30enne, subentrargli. Per questo, e per i due anni di ritardo rispetto alla scadenza della sua presidenza con cui si sono aperte le urne, i “due” mandati di Joseph Kabila sono durati la bellezza di 18 anni.

ANNI PESANTI che il paese – 82 milioni di abitanti, grande otto volte l’Italia – tribolato e insanguinato dai conflitti come pochi altri, reso poverissimo dalle scandalose ricchezze del suo sottosuolo (diamanti, petrolio e coltan, il componente magico senza il quale il mondo dovrebbe fare a meno di smartphone, tablet e computer) vorrebbe tanto lasciarsi alle spalle.

[do action=”citazione”]Cronologia[/do]

[do action=”citazione”]1961
8 mesi dopo l’Indipendenza, il premier Patrice Lumumba viene ucciso in Katanga con la decisiva complicità di Cia e servizi belgi[/do]

[do action=”citazione”]1965
Joseph Mobutu, un ufficiale coinvolto nell’omicidio di Lumumba, prende il potere e cambia il nome del paese in Zaire[/do]

[do action=”citazione”]1997
Con il sostegno cruciale del Ruanda viene rovesciato Mobutu e al suo posto si installa Laurent Desire Kabila, padre di Joseph[/do]

[do action=”citazione”]2000
Via alla missione Onu per arginare la «guerra mondiale africana», che coinvolge 8 paesi africani e durerà altri tre anni. 5 milioni i morti[/do]