«Volevo che i lettori capissero che quando leggono Jane Eyre, Cime tempestose o La signora di Wildfell Hall, stanno dinanzi ai romanzi di tre donne che sono state delle vere eroine e che sono riuscite a scrivere dei capolavori nonostante le avversità». È l’intenzione della scrittrice e storica spagnola Ángeles Caso, nata nel 1959 a Gijón e oggi ospite a Roma per «Libri Come» (ore 14:30, con Chiara Tagliaferri), che ha dedicato alle sorelle Brontë, Charlotte, Emily e Anne il volume Tutto questo fuoco (Marcos y Marcos, pp. 256, euro, 18, traduzione di Claudia Tarolo).

Esistono numerose biografie delle sorelle Brontë. Qual è la ragione per cui ha scritto questo libro?
Perché le ammiro molto, le sento come se fossero davvero mie amiche. A volte succede di provare cose vere nei confronti di persone che hanno vissuto nel passato, e mi succede con alcuni scrittori, musicisti e artisti. Non è solo ammirazione, è qualcosa di più profondo, di più vivo.

La sua formazione storica e letteraria le ha consentito di reinterpretare liberamente alcuni elementi.
Mi sono recata a visitare la loro casa di Haworth. Improvvisamente, mentre mi trovavo nel loro piccolo soggiorno, ho visto le tre lì insieme, in silenzio, ognuna delle quali stava scrivendo un libro impressionante. Mi sembrò che in quel luogo fosse avvenuto un miracolo nella storia della letteratura e decisi che volevo raccontare la storia di quei giorni in cui i loro libri, scritti da tre sorelle che agli occhi del mondo non erano nessuno, uscirono da quella casa isolata e modesta.

Il termine «fuoco» significa molte cose: è del desiderio in primo luogo, poi è quello della scrittura, dello spazio domestico e infine del focolare. In che modo il fuoco ha guidato Charlotte, Emily e Anne?
È la passione che provavano, ma anche il centro dello spazio domestico in cui erano costrette a vivere. Ed è interessante pure l’idea che l’intera famiglia Brontë si sia estinta, senza lasciare discendenti, come se il fuoco del genio che li alimentava, compresi il padre e il fratello, li avesse consumati.

Bellissime parole sono infatti dedicate alla passione, all’amore incandescente. Tutte e tre erano innamorate, nonostante le notizie controverse su questo aspetto della loro vita.
Non ho mai creduto che Charlotte, Emily e Anne abbiano potuto scrivere ciò che hanno scritto sull’amore e sul desiderio senza averlo provato in prima persona. Charlotte si è imposta di creare un’immagine molto vittoriana di sé e delle sue sorelle, come se fossero tre donne molto caste che non avevano mai provato le tempeste sentimentali di cui scrivevano. La verità è che erano figlie del loro tempo, del Romanticismo e dell’esaltazione assoluta delle emozioni. Tutto questo era già presente nelle saghe che scrissero da bambine e adolescenti. Non erano le virtuose signore di cui ci hanno parlato, le rispettabili figlie di pastori, ma donne disposte a lasciare la pelle e forse anche l’anima nelle loro relazioni e nelle loro fantasie. La storia che spesso è stata raccontata su di loro è in questo senso molto patriarcale, molto ottocentesca e poco credibile.

In altri suoi romanzi, per esempio «Controvento», l’amore muove le vite, ma anche le amicizie. Quale altra esperienza è vitale come l’amore?
Direi che ce ne sono molte. L’amicizia, naturalmente, è una di queste. E l’amore per gli animali che vivono con te, nella tua casa, i tuoi cani o i tuoi gatti, un amore molto grande e pieno di tenerezza. Ma per me sono fondamentali anche le esperienze estetiche e intellettuali. L’emozione che provo di fronte alla natura, alla musica o all’arte, e l’abbaglio e l’ispirazione che mi provoca l’intelligenza quando si esprime davanti ai miei occhi, a volte in un lunghissimo saggio, a volte in una legge scientifica, hanno reso la mia vita infinitamente ricca. Sono grata per tutto ciò che ho vissuto in questo senso e spero di avere ancora molto da sperimentare.

La sua intenzione di occuparsi della storia delle donne non si limita a questo libro (pubblicato originariamente nel 2016). Basti pensare a «Las olvidadas» (2005) e alla versione più recente di «Las desheredadas» (2023). Quanto era ed è importante il femminismo in questa consapevolezza?
Credo di essere una femminista da quando sono nata. Anche perché a casa, mio fratello e noi tre sorelle siamo sempre state trattate allo stesso modo. Ma sono diventata sempre più femminista nel corso degli anni, man mano che scoprivo le infinite trappole del patriarcato. Per molto tempo, in Spagna, sono stata guardata dall’alto in basso come scrittrice perché ero una donna che scriveva di altre donne (anche se non sempre). Mi chiamavano «scrittrice sentimentale, sdolcinata, rosa», tutti quegli aggettivi dispregiativi che spesso ci vengono riservati. Questo mi ha reso sempre più combattiva e ha fatto nascere in me, come storica e scrittrice, un’infinita curiosità di guardare alle scrittrici e alle artiste del passato che avevano avuto una vita molto più difficile della mia. Da questa solidarietà con loro sono nati molti dei miei libri.