Questa sera vedo tanti compagni, tante persone. Sono qui certamente per ricordare una compagna che non c’è più, Rossana. Sono qui anche per testimoniare una fede, una battaglia, che ha caratterizzato Rossana Rossanda per tutta la vita. Ho conosciuto Rossana nel 1958. Ero in Sicilia allora, dirigevo lì il partito. Lei mi invitò alla Casa della cultura, che dirigeva, a Milano.

Mi invitò a parlare della Sicilia dove c’erano state anche tempeste politiche, la Dc era stata messa fuori dal governo, c’era stata la famosa operazione Milazzo. Lei voleva capire e voleva che a Milano si capisse che cosa era stata la Sicilia in quei giorni. Quando la incontrai le dissi: «Ma tu a Palermo sei mai venuta?». Mi rispose di no. E io: «Ma come? Vai continuamente a Parigi e non vieni a Palermo? Devi venire a Palermo per capire meglio che cos’è la Sicilia. La Sicilia è un mondo ed è un mondo a cui solo il partito comunista ha potuto dare una coscienza vasta della sua identità, del suo ruolo e delle sue battaglie».

Io ritengo che Rossana da allora ha capito cos’è la Sicilia e cos’era Palermo. Ho avuto con lei molte conversazioni, molte discussioni, anche alcune polemiche. Sarebbe sbagliato non ricordarlo. Ho scritto anche in polemica con le posizioni di Rossanda. Anche in occasione della pubblicazione del suo libro. Feci sul Riformista una critica, politica, affettuosa, non sprezzante. Perché non meritava questo Rossana Rossanda. Penso che oggi dobbiamo ricordarla perché lascia una eredità vera, politica, anche umana. Una eredità che bisogna trasmettere alle nuove generazioni. Purtroppo non c’è più il Partito comunista. Non ci sono più le sezioni. Non c’è più la trasmissione delle esperienze, delle vicissitudini, delle storie che sono state vissute. E Rossana ne aveva vissute tante nella sua Milano e anche quando dirigeva la commissione culturale alla direzione del Pci.

Ora se vogliamo ricordare Rossana, dobbiamo pigliare e fare tesoro del suo impegno straordinario, del suo lavoro e di quello che ci ha lasciato con i suoi scritti, Non per rifare il Pci, ma per riprendere la lotta politica, culturale, civile che ha caratterizzato gli anni del Pci e gli anni in cui Rossanda alla commissione culturale del partito dava segnali forti in questa direzione.

È questo che dobbiamo fare. E possiamo farlo, comunque oggi si sia collocati. Possiamo farlo per trasmettere quella che è stata la sua storia, i suoi problemi, anche le sue contraddizioni alle nuove generazioni. Perché è questo il compito di noi vecchi. Essere in grado di trasmettere alle nuove generazioni non il Pci ma la storia del Pci, non il Pci ma le vicende politiche e culturali che lo caratterizzarono. Per dire che non bisogna rifare il Pci ma serve ricostruire un’organizzazione politica, un impegno, un orizzonte alle nuove generazioni che mi sembra siano un po’ sperse. E questa è responsabilità maggiore di noi vecchi, perché se le nuove generazioni non sono ancora incanalate in una battaglia politica e culturale per il progresso del nostro paese la responsabilità certo è anche nostra.

Se vogliamo onorare veramente con i fatti Rossana Rossanda, la sua opera, quella che ci ha trasmesso quando era nel Pci e quando era fuori in un modo o nell’altro, dobbiamo capire che sono esperienze cumulative dove non c’è esclusivismo, ma un’esperienza complessa che noi dobbiamo valutare e trasmettere. Soprattutto alle nuove generazioni perché quell’impegno, quel modo di essere militante, quel modo di essere dirigente, quel modo di essere una persona che fa battaglie politiche e culturali non venga spento, ma venga anzi acceso.