Eftimios
17/41. Come va? Sono un po’ imbarazzato.

Eftimios aveva una compagnuccia, il nome non lo ricordo.

Era robusta, capelli neri, occhi neri, faccia bianca tra il quadrato e il cerchio. Una volta, un pomeriggio, c’era una festa a casa nostra, quando abitavamo ancora nel quartiere ancora nuovo di Colli Aniene, tra il Tiburtino Terzo e l’Appennino. Ce ne andammo da quel quartiere, da quella casa qualche anno dopo, quando dallo studio, costruite palazzine e palazzine, pian piano l’Appennino scomparve alla vista. C’era una festa dunque, ed Eftimios e lei non li trovavamo più.

Stavano sotto il tavolo tondo coperto da una tovaglia quadrata, grande, traforata, fatta a mano da una mano cipriota, che arrivava con i quattro angoli quasi fino a terra. A un certo punto ne sbucarono fuori. Pare che si fossero dati un bacio. Chi me lo ha detto? Lui? O lo aveva detto ad Alexandra e lei lo aveva poi detto a me? Un bacio. Una fidanzatina. Niente altro. Non mi sono accorto di altro, di altre. È morto a sedici anni, Eftimios, amava tutti e tutte. Ma non ha incontrato un grande amore. Per questo è morto?

Un mese prima della fine, qualche anno dopo il bacio forse dato lei venne a trovarlo nella casa tra gli alberi al lago, sui Monti Sabatini. Era a letto lui. Non riusciva più a camminare, a muoversi bene. Il tumore lo aveva colpito ai centri motori, ed Eftimios si bloccava lentamente, irreversibilmente. Andammo a prenderla a Sutri e salimmo verso la casa. La accompagnammo nella sua camera e li lasciammo soli per un paio d’ore. Cosa si dissero? Dio solo lo sa. Dopo, la sera, entrando nella sua camera, gli chiesi: «Come va?» E lui, quattro sole parole: «Sono un po’ imbarazzato».

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