È la storia di una ragazza indipendente e curiosa che apre tante porte, una dopo l’altra, Solo per me (À mon seul désire, 2022) di Lucie Borleteau, attrice (L’amore secondo Isabelle) e regista che ha esordito nel 2014 con Fidelio. Mettendo da parte università e dottorato, Aurore spalanca le cortine di un locale di striptease dove impara a spogliarsi con studiata lentezza, poi è incuriosita dalla prostituzione, infine trova anche l’amore in quei luoghi dove sembrerebbe impossibile, inappropriato.
Corpi, danze e incontri certo non mancano nel film, osé senza voyerismo perché si tratta di un film femminista «certificato» cioè conforme al test di Bechdel, metodo che valuta l’uguaglianza di genere (ci sono almeno due donne di cui si conosce il nome e che parlano tra loro di argomenti che non siano gli uomini).

IL PRIMO ELEMENTO interessante del film è quindi il rovesciamento di prospettiva, il secondo l’appartenenza decisa al cinema erotico francese, una specialità che ha assunto caratteristiche varie negli anni Settanta, Ottanta fino alle contemporanee varianti Lgbtq+ che, senza scomodare Laura Mulvey, ribaltano la percezione del punto di vista e qui hanno un sapore vagamente vintage per l’ambientazione che sembrerebbe appartenere a tempi passati, in luoghi più immaginari che reali.

Eppure, dice la regista, è stata proprio una sua amica che lavora in uno di quei locali a introdurla. E poi le mises con Gilet jaunes e la voce di Macron alla radio ci collegano ai giorni nostri, con tutte le problematiche contemporanee.
Il club dove si esibisce Aurore (Louise Chevillotte) è preferibile al supermercato dove fa la cassiera per pagarsi gli studi. Si tratta di un locale ben protetto da un maître (l’attore spagnolo Pedro Casablanc) che, si indovina, deve aver avuto un passato movimentato, uno che sembra provenire da un poliziesco del dopoguerra, che indica i limiti e i tempi delle esibizioni che qualche volta sfuggono al controllo. Tra le tante spoglierelliste c’è anche Mia (Zita Hanrot) in attesa dell’audizione all’Accademia che sarà l’oggetto di attrazione irresistibile per Aurore.

IL RITMO del film è frizzante e gioioso, con tutto il retroterra classico del cinema francese alle spalle, cioè senza pudori o morali, un erotismo rivisto in chiave contemporanea e senz’altro dalla parte delle donne, pure se spuntano nella seconda metà del film sviluppi che moltiplicano gli scenari, facendo approdare il racconto verso la fine dello spettacolo.
Quando sottoponeva il progetto, dice la regista, gli veniva obiettato: «ma non c’è neanche un morto!» come se le vicende vissute dalle protagoniste non fossero abbastanza forti per il pubblico o non rispettassero i canoni del tradizionale film erotico per un pubblico maschile.

Avventore d’eccezione del tutto inaspettato vediamo comparire nello strip club Frederick Wiseman (che nel 2011 aveva firmato Crazy horse): «L’ho incontrato a un festival, racconta la regista, mi ha chiesto cosa facevo e gli ho raccontato che stavo facendo un film sui locali di strip-tease, mi ha detto ti vengo a trovare. Volevo mettere tra il pubblico anche uomini di mezza età perché anche loro sono tra i frequentatori di quei locali».