Il presidente Trump non lo ha incontrato. Un po’ Salvini ci sperava ma nemmeno troppo: il protocollo è rigido e il vicepremier incontra il vicepresidente, al secolo Mike Pence, e il segretario di Stato, il falco Mike Pompeo. Ma il mancato faccia a faccia con l’inquilino della Casa bianca è l’unico neo in una missione che è andata esattamente come Salvini aveva progettato e che porta a compimento una svolta iniziata da mesi.

Obiettivo conclamato: fare dell’Italia «il più solido e coerente alleato degli Usa». A differenza di quegli «altri Paesi europei che hanno scelto una strada diversa». E a differenza degli alleati a cinque stelle che su quasi tutti i punti sui quali Salvini e Pompeo fraternizzano imboccherebbero ben altre strade. Se ne avessero la forza.

L’elenco delle convergenze lo stila lo stesso ministro degli interni, che per l’occasione ha deciso di indossare anche quelli del ministro degli esteri e dello stesso premier: sul Venezuela, dove il leghista avrebbe «già riconosciuto Guaidó come presidente e sostenere Maduro non aiuta»; sull’Iran, perché «chi dice di voler cancellare Israele non può avere relazioni normali e la posizione dell’Italia è già cambiata»; sulla Cina e sulla via della Seta, perché «business è business ma la sicurezza viene prima e stiamo lavorando per verificare gli eventuali rischi con Huawei»; sulla Libia, dove «non devono esserci un vincitore e uno sconfitto mentre la Francia pensava che l’intervento di Haftar sarebbe stato risolutivo».

Ma anche sugli F35, checché ne pensino i soci di governo: «Gli accordi sottoscritti non si possono rimangiare». In un solo passaggio il leader leghista rispolvera la vicinanza a Putin, sacrificata in nome dell’alleanza con Trump: «Sarebbe un errore isolare la Russia lasciandola nelle braccia della Cina». Quando vuole, evidentemente, il ringhioso comiziante sa dosare i toni: la formula è accettabile anche per l’amico americano.

Salvini non è volato dall’altra parte dell’Atlantico solo per accreditarsi come sponda degli Usa all’interno della Ue, ricalcando, con stile diverso, la politica estera dei governi Berlusconi. Era anche alla ricerca di armi da mettere in campo nel braccio di ferro con la Ue, e non è certo una coincidenza se proprio da Washington rilancia la sfida: «Le risorse per la Flat Tax ci devono essere. Al massimo si possono rimodulare i tempi. La Ue ha ammazzato un popolo e spalancato le porte alla Cina. L’Italia non è la Grecia e Bruxelles se ne farà una ragione. Il governo di cui faccio parte in Europa non si accontenta più delle briciole». E anche qui il modello è il presidente a stelle e strisce: «Per l’Italia serve una manovra trumpiana».

Salvini sa bene che la vera differenza rispetto al passato, nel quadro complessivo, è proprio l’atteggiamento degli Usa, passati dal sostegno all’unità europea all’offensiva di Trump che mira al contrario a sgretolarla. Mettere sul tavolo lo spettro di una sponda diretta tra il potente alleato che vuole l’Unione in pezzi e uno dei Paesi fondatori dell’Unione stessa serve, almeno per ora, a giocare una carta che dovrebbe spingere la Ue non certo a rovesciare ma almeno ad ammorbidire la sua posizione rigida.

Il leghista, dopo il passaggio di rito sul governo che resterà in carica per quattro anni, assicura che sulla lettera alla commissione che Conte «sta limando» da ormai quattro o cinque giorni l’accordo è totale. In ogni caso, prima di spedirla ci sarà un vertice a tre, probabilmente mercoledì prima del Cdm che dovrebbe riunirsi alle 20 nella stessa giornata.

La posizione di Conte e di Salvini non è identica, ma senza dubbio in questo momento giocano la stessa partita, mirano allo stesso obiettivo, con metodi opposti ma probabilmente coordinato. Il ruggente leghista fa la sua parte in commedia, quella del duro.

Conte è morbido e diplomatico. Si affretta a stemperare l’uscita del ministro in trasferta sulla Cina assicurando la pienissima fedeltà «euroatlantica» dell’Italia. Ma tutti e due vogliono la stessa cosa, quella che Conte metterà nero su bianco nella lettera: un rinvio.

Lo stesso passaggio di Salvini sulla possibilità di «rimodulare la tempistica della Flat Tax» è un segnale inviato a Bruxelles sulla disponibilità italiana a cedere parzialmente. Ma la trattativa deve svolgersi contestualmente a quella sulle nuove cariche europee, quando l’Italia potrà far valere il suo peso e usarlo come merce in cambio di una linea meno dura. Sempre che la commissione accetti il rinvio e non è affatto facile.