L’ultimo sì della camera al disegno di legge di revisione costituzionale arriverà dopo l’elezione del presidente della Repubblica. E dopo il giuramento del successore di Napolitano davanti ai grandi elettori, per il quale in genere occorrono un altro paio di giorni. La «concessione» della maggioranza Pd-Forza Italia, ratificata ieri, è in realtà imposta dal ritardo di Montecitorio. Ed è un successo dell’ostruzionismo di Lega, 5 Stelle e Sel, in questo non aiutati dalla minoranza Pd.

Minoranza bersaniana che continua a dissentire non partecipando al voto, uscendo dall’aula nei momenti decisivi e lasciando il solo Civati a segnare sul tabellone il suo costante no, luce rossa. In ogni caso i numeri non arridono al patto del Nazareno: mai nella votazione dei primi sei articoli viene raggiunta la maggioranza dei 2/3 che sarebbe necessaria a evitare il referendum confermativo. In qualche caso – articolo 2 – si finisce addirittura sotto la maggioranza assoluta, indispensabile per varare le modifiche costituzionali. È un problema che si porrà solo nelle ultime due letture, dopo la «pausa di riflessione», ma che è evidente dall’8 gennaio scorso, il primo giorno di votazioni. Neanche il referendum sarà una concessione di Renzi.
La conferenza dei capigruppo di Montecitorio ha stabilito uno stop ai lavori nel fine settimana, poi si tratterà di correre per liquidare 35 articoli in tre giorni, prima dello stop per il Quirinale. Nessuno stop invece per la legge elettorale, la maggioranza vuole chiudere entro martedì-mercoledì. «Questo calendario sdoppiato ci ricorda il sistema della scarpa destra regalata prima delle elezioni con la scarpa sinistra da consegnare dopo», il commento del Movimento 5 Stelle. È l’ultima prova che l’accordo tra Renzi e Berlusconi è pieno: riforme e Quirinale. E magari la delega fiscale (con la norma che può servire all’ex Cavaliere condannato) che Renzi eserciterà immediatamente dopo.
Intanto al senato la minoranza Pd conferma la sua contrarietà all’Italicum: oggi non voterà gli emendamenti della senatrice Finocchiaro, il cuore dell’Italicum solo annunciato in sintesi dall’emendamento Esposito. Il senatore Tocci ha anticipato la mossa ieri pomeriggio. Il passaggio ha una sua delicatezza, essendo Finocchiaro accreditata di grandi chance nella corsa al Colle. La senatrice ha mantenuto anche ieri il basso profilo con il quale sta seguendo i lavori – un vantaggio per lei non essere la relatrice – con l’eccezione di un breve intervento, indispensabile perché uno dei suoi sub emendamenti, si è scoperto, è sbagliato e va corretto.

Tra i difetti dell’Italicum c’è il cosiddetto effetto «flipper»: i cento collegi plurinominali ripartiti a livello nazionale possono rivelarsi una lotteria. Il flipper si può attenuare, ma non eliminare. L’alternativa è secca: o si rispetta il criterio territoriale, oppure si segue la regola del consenso. Nel primo caso gli eletti dei partiti più piccoli – quelli che superano di poco lo sbarramento del 3% – saranno affidati totalmente al caso: non vinceranno il seggio i più votati né i candidati dei collegi dove il partito ha avuto più voti, ma i fortunati che sono stati presentati laddove il partito più grande, dopo aver preso i suoi seggi, lascia i più bassi «resti» (cioè i voti non sufficienti a conquistare un seggio in più). Oppure si segue il criterio del consenso elettorale: il partito elegge quei candidati che hanno avuto il miglior risultato nei territori, ma allora bisogna lasciare ballerino il numero dei seggi assegnati nei collegi, che in media raccolgono 600mila elettori. A tutto questo vanno aggiunti i candidati capolista eletti senza preferenze che possono essere presentati ognuno in dieci collegi, ed ecco che l’inganno all’elettore è completo.
Un solo emendamento è stato approvato ieri, presentato dal senatore del Pd (minoranza) Sposetti, ritirato e fatto proprio da Uras di Sel. All’atto della candidatura, i partiti dovranno presentare insieme al simbolo anche lo statuto. Soluzione di buon senso che per passare ha avuto bisogno che la ministra Boschi tornasse indietro dalla contrarietà iniziale. Si è rimessa all’aula e, liberati dal vincolo del Nazareno, i senatori hanno detto sì quasi all’unanimità.