Elio Pandolfi ha compiuto da qualche mese 90 anni e questa è l’occasione per un incontro rivelatosi estremamente interessante anche per ciò che non è stato possibile includere nell’intervista, e per motivi di spazio e per motivi di privacy. La vitalità di Pandolfi è contagiosa come contagiosi sono la sua allegria, l’uso del dialetto, il gusto del calembour.
Il suo curriculum è talmente vasto che è davvero difficile mettere dei punti fermi. Per orientarci farei riferimento all’operetta, all’opera, al cinema -anche se in maniera più defilata-, al doppiaggio e alle imitazioni.«Posso dirle, per facilitarle il compito, che sono stato dotato di una bella voce. Si narra che quando mia madre mi teneva in braccio ed io facevo il diavolo a quattro, solo il suo canto mi acquietava. Mia madre,oltre ad essere una donna colta, era una cantante formidabile, amava molto Puccini. Insomma, a 4/5 anni già canticchiavo. La folgorazione fu poi il film Angeli senza paradiso sulla vita di Schubert. Lo vidi all’Augustus in Corso Vittorio dove la cassiera, amica di mia madre, mi faceva entrare gratis. Può immaginare, con mia madre che cantava in continuazione «ma che gelida manina/se la lasci riscaldare», come la strada fosse già segnata. L’operetta l’ho scoperta invece alla Sala Umberto. Davano Al cavallino bianco con Rascel nei panni di Sigismondo e la Milly. Fu proprio con Al cavallino bianco che debuttai in una sala parrocchiale. La mia insegnante di piano – ne ricordo ancora il nome, Esperia Anselmi – abitava al 4° piano di Borgo Pio 30. Arrivavo ogni volta con la lingua di fuori!

La sua attitudine all’imitazione, come nasce? I suoi pezzi forti sono il ‘tram’, la ‘gallina’…
Bisogna raccontarla dal principio. A me sono sempre piaciuti i mezzi ferrati. Mia madre ci portava spesso alla stazione a vedere i treni e a me sarebbe molto piaciuto guidare un tram…ero talmente innamorato di Roma da percorrerla in lungo e in largo, spesso a piedi, molte altre volte col tram appunto. Quanto alla gallina, ebbene ho sempre amato gli animali. Mia nonna che abitava in via Urbana, di fronte al Cinema Manzoni, possedeva una gallina bianca che era diventata un animale da compagnia. A forza di vederla cominciai ad imitarne il verso.

Quanto ha significato per lei Orazio Costa?
Beh, moltissimo. Aveva capito tutto di me, è stato il regista che mi ha valorizzato.

Dai discorsi fatti esce fuori che lei ha avuto consuetudine con il clero. In che modo?
Siamo nel ’48,un certo padre Gallo stravedeva per le mie capacità e mi offrì un posto da speaker sostitutivo alla Radio Vaticana. Non mi davano una lira, in compenso mi riempivano di generi alimentari. Inoltre, aver frequentato preti di ogni nazionalità mi ha dato la possibilità di impratichirmi nelle lingue.

Mi parli della sua amicizia con Bice Valori.
Il nostro è stato un grandissimo amore, nel senso di un affetto incredibile e imperituro. Pensi,ci sentivamo tre volte al giorno. Il ‘tram’ nasce anche da questa amicizia. Quando si andava in accademia io lo prendevo ad una data fermata e lei saliva qualche fermata dopo. Pensi, giurammo allora che non ci saremmo mai sposati! Poi qualcosa cambiò C’era un certo Panelli che le girava intorno in continuazione -tenga presente che la nostra era solo una splendida amicizia- e un giorno andammo al cinema tutti e tre. Ad un certo punto mi venne spontaneo farle una carezza. Paolo si alzò e mi rifilò un pugno. Non sapevo cosa fare,l’istinto mi diceva di rifilargliene tre ma non ero tipo da rissa e preferii andarmene. Bice al telefono si scusò. Si sposarono poi in casa,l’officiante fu suo fratello, padre Paolo, un gesuita. Quando feci Altri tempi di Blasetti lei, che era in viaggio di nozze,mi telefonò per congratularsi. Ma di nascosto. Paolo aveva imposto delle regole: «Non chiamare mai all’ora di pranzo». Panelli era uno strano tipo, deve tutto alla moglie, il suo apprendistato, la sua acculturazione, tutto. Un giorno Mastroianni, molto amico di Panelli ma di tutti alla fine, si accorse della mia assenza nel giro. «Ma perché -chiedeva- Elio non si vede più?».

È stato molto amico di Mastroianni?
Molto. Io l’ho conosciuto, pensi, che ancora faceva l’impiegato a 30.000 lire al mese. È stato una delle persone migliori che abbia mai conosciuto: generoso, buono, umile. Quando aveva ormai sfondato, ho girato un documentario sulla sua casa a Castiglioncello (un filmato pregevole, girato con mano ferma, ndr). Mi telefonava spesso da Parigi e io lo andavo a trovare spesso.

È stato più amico di Bice Valori o di Antonella Steni?
Non è possibile fare dei paragoni. Con Bice c’era un rapporto di amicizia fraterno, molto profondo, con Antonella il rapporto era professionale. Era un tipetto, sapesse. Bice ad un certo punto si ammalò gravemente. Mi chiamava spesso e mi dava a sua volta gli orari in cui avrei dovuto chiamare. Con un fil di voce, quando era oramai alla fine,mi disse: «Ho voluto bene solo a tre persone: te, mio fratello (che era morto poco prima suicida, ndr) e Paolo.

Può raccontare le serate da Visconti nella sua villa sulla Salaria?
Andò così. Si era incuriosito di quello che andavo facendo e mi invitò ad esibirmi in villa. Organizzò una serata cui erano presenti Cervi, la Pagnani, Stoppa, Zeffirelli, Rosi solo per fare qualche nome. Può immaginare l’emozione, Gli applausi furono ripetuti e continuati. Quella sera stessa proiettai Ombre, un mio cortometraggio muto e Luchino rimase a bocca aperta.

Che tipo era Visconti, aristocratico? alla mano?
Era un uomo dal portamento regale, elegantissimo ma molto, molto simpatico, alla mano, si divertiva moltissimo. Con lui ho fatto L’impresario della Smirne e il successo fu tale che per un anno ho potuto fare a maeo di lavorare.

Ha avuto a che fare con colleghi antipatici, scontrosi, scortesi?
Beh, Enzo Trapani mi trattò malissimo davanti a tutti. «Sei una checca -mi disse-,ti muovi come una checca». Poveretto, non sapeva che ero bisessuale. Ho suscitato forti passioni sia in uomini che in donne (nel suo salotto campeggia una sua foto in costume di quando aveva 40 anni ed era di una bellezza statuaria, ndr). Accadde che stessi anche per sposarmi. La cosa andò a monte. Nel campo femmminile a me piacevano le tardone, donne più grandi di me. Quella che mi ha ‘inaugurato’, la sora Amelia, era un po’ agé (qui Pandolfi usa un’espressione molto colorita che è un peccato non riportare ma che omettiamo per sua espressa richiesta, ndr). Ho avuto una relazione con un’attrice bellissima e famosa di vent’anni più grande…

…il nome?
Non glielo farò mai. Io serbo un ricordo struggente di Campo de’ fiori.

Qual è il suo di ricordo?
Eccezionale! C’erano Steni,  Di Marzio, Fiorenzo Fiorentini. Lo sa chi scriveva i testi, fra gli altri? Ettore Scola, pensi un po’. Gli anni dell’apprendistato radiofonico sono stati basilari. Campo de’ fiori finì per essere un successo. E poi si lavorava con Rascel, con Riccardo Billi, Totò, Delia Scala.

Mi incuriosisce un film mai distribuito in Italia cui lei partecipoò, «Priest of love».
E fu un peccato che non arrivasse da noi, era un bel film ed io recitavo – a detta dei critici – davvero bene. È praticamente la storia dello scrittore Lawrence.
Di tutti i registi (opera, operetta, cinema) chi l’ha impressionata di più? Bolognini, Crivelli, Visconti. Sono stato molto amico di Fellini ma non abbiamo mai lavorato insieme. Mi adorava Federico.
Mi sono ricordato di una cosa che va assolutamente menzionata: lei ha doppiato Bela Lugosi in Dracula. Ma come si può dimenticare una cosa del genere?! (ride divertito). Sì, quel doppiaggio fu molto apprezzato.

C’è un rimpianto nella sua vita?
Ho vissuto molto e molto intensamente. Ma se potessi tornerei ragazzino nella scuola di Corso Vittorio dove vivevamo e mio padre faceva il bidello. Durante i quattro mesi di chiusura estiva ero il padrone. Giravo correndo tutte le aule, salivo in cattedra, recitavo nella sala dei professori. Poi ho un ricordo incredibile. Un giorno fui attratto da alcuni belati, mi affacciai ed assistetti alla transumanza, un gregge che transitava in Corso Vittorio!

Ha avuto problemi con il fascismo?
Mi sono fatto cacciare da Balilla. Quei vestiti così pesanti non li sopportavo e allora, a voce alta,dissi: «Ma nun se po’ leva’ ‘sto costume?». Si avvicinò allora minaccioso il capomanipolo che gridò: «Questo non è un costume ma una divisa!» Ricordo ancora il suo grugno alterato e l’essere mi cacciò all’istante.