Per la cura di Marco Piccolino la casa editrice ETS ha pubblicato un libro con un ricco apparato iconografico intitolato Rita Levi Montalcini e il suo maestro. Una grande avventura nelle neuroscienze alla scuola di Giuseppe Levi (pp. 315, euro 29). Nata a Torino il 22 aprile 1909, Montalcini è morta il 30 dicembre 2012, all’età di 103 anni. Nel 1986, ricevette il premio Nobel per la Medicina insieme al biochimico americano Stanley Cohen per averne dapprima postulato l’esistenza e in seguito avere isolato e caratterizzato un nuovo fattore di crescita specifico per i tessuti nervosi, chiamato «Nerve Growth Factor» o NGF. La motivazione del Premio riporta: «La scoperta del NGF è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In precedenza i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e tessuti dell’organismo».

LA FORMAZIONE di Montalcini iniziò a Torino ed ebbe al suo centro la figura dell’anatomico Giuseppe Levi (al quale chi firma il pezzo ha dedicato un saggio pubblicato nel 2018 da Carocci e intitolato Il maestro dei Nobel. Giuseppe Levi, anatomico e istologo, ndr). Levi, padre della scrittrice Natalia Ginzburg, che ne ha mirabilmente tratteggiato la figura in Lessico famigliare, aveva introdotto in Italia il metodo della coltura dei tessuti in vitro e aveva più di ogni altro diffuso l’orientamento verso una indagine funzionale e causale a discipline di studio della forma quali l’anatomia e l’istologia. Levi può vantare di avere avuto tra i suoi allievi tre premi Nobel, Rita Levi Montalcini, Salvador Luria e Renato Dulbecco.

Luria riconobbe in Levi «un’autorità di fama internazionale nel campo del tessuto nervoso» e da lui imparò «un atteggiamento di rigorosa professionalità, vale a dire imparai come impostare seriamente un esperimento e portarlo a conclusione. Appresi l’importanza di comunicare i risultati: il maestro soleva dire che, non appena una serie di dati apparisse significativa, bisognava pubblicarne i risultati. E quando il manoscritto era pronto Levi lo riscriveva da cima a fondo senza pietà». D’altro canto, Dulbecco ebbe a ricordare che: «Capiva gli studenti e ne perdonava le stramberie, ma non tollerava cose che riteneva improprie: allora inveiva, sprizzando saliva a destra e a sinistra. Le sue lezioni erano le più frequentate della facoltà, non perché vi si imparasse molto. L’anatomia la si imparava studiando sui libri o facendo le dissezioni sui freddi tavoli di marmo bianco o le se recitazioni di anatomia microscopica nel vasto laboratorio al pianterreno. Gli studenti andavano a sentire Levi perché lo rispettavano, lo amavano. Era inoltre un simbolo di resistenza al fascismo, anche se si conteneva entro limiti che il regime poteva tollerare».

DIVERSAMENTE da Luria e Dulbecco, che si occuparono di genetica batterica, virologia, ed oncologia, temi di ricerca che non possono essere riconducibili alla scuola di Levi, Montalcini ebbe con il suo maestro un lungo sodalizio intellettuale che durò dal 1932, fino alla morte di Levi, nel 1965.
La Premio Nobel, dopo la laurea, nel 1938 con l’emanazione delle leggi razziali fu costretta, per proseguire gli studi, ad emigrare a Bruxelles, dove lavorò sino all’invasione tedesca del Belgio, nella primavera del 1940. Tornata a Torino, allestì un laboratorio di fortuna a casa, dove con Levi iniziò a svolgere ricerche di neuro-embriologia sullo sviluppo del sistema nervoso negli embrioni di pollo. Nel 1947, proseguì i suoi studi negli Stati Uniti dove nel 1951, alla Washington University di St. Louis, la ricercatrice osservò per la prima volta l’effetto di stimolazione della crescita delle cellule nervose esercitato dal trapianto di un tumore di topo sull’embrione di pollo, che l’avrebbe poi portata alla scoperta dell’NGF.

Negli anni Cinquanta, quando cominciò a ottenere i primi risultati sui fattori che influiscono sulla crescita e il differenziamento delle cellule nervose, le neuroscienze erano agli albori, le ricerche sui neurotrasmettori, sui rapporti tra farmaci e funzione nervosa e sulle basi neurobiologiche del comportamento erano ancora in fieri. Alla scoperta dell’NGF ci arrivò «con la fortuna e l’istinto. Conoscevo in tutti i dettagli il sistema nervoso dell’embrione e ho capito che quello che stavo osservando al microscopio non rientrava nelle norme. Una vera rivoluzione: andava, infatti, contro l’ipotesi che il sistema nervoso fosse statico e rigidamente programmato dai geni. Per questo decisi di non mollare».
Oggi, con la scoperta dell’NGF e di altri fattori trofici, non si guarda più al sistema nervoso come a una struttura rigidamente predeterminata, ma come a una struttura plastica, segnata dall’individualità delle sue complesse ristrutturazioni epigenetiche.

TRA I NUMEROSI RICORDI del suo maestro, ci piace ricordare questo ritratto giovanile di Montalcini che ne pone in risalto le sue caratteristiche umane prima ancora che professionali: «Levi era alto, di costituzione robusta, rinvigorita dalla sua passione per la montagna, sport che coltivava in estate e in inverno con la stessa tenacia con la quale indagava i problemi biologici i folti capelli rossi il modo di incedere con la testa un po’ china, la completa indifferenza per il suo vestiario, facevano pensare a un russo di professione incerta fra il mugik, il filosofo incurante del mondo assorto nei suoi pensieri e lo scrittore alla Tolstoj, piovuto per sbaglio tra noi».