Edward Snowden è ancora a Mosca. Lo ha confermato il presidente russo Vladimir Putin: «Si trova nell’area transiti dell’aeroporto internazionale di Sheremetevo – ha detto – prima deciderà per quale destinazione proseguire, meglio sarà per la Russia e per lui stesso». Ex consulente della Cia, Snowden lavorava come tecnico informatico in una sede dell’Agenzia per la sicurezza nazionale (Nsa) alle Hawaii. Grazie a lui, i media (il Guardian e il Washington Post) sono venuti a conoscenza di un gigantesco piano ultrasegreto di intercettazioni illegali messo in campo dagli Usa. Ora si dice che avrebbe accettato il lavoro con il contractor della Nsa Booz Allen proprio per raccogliere le preziose informazioni che imbarazzano fortemente l’amministrazione Obama. «Snowden è in possesso di oltre 200 documenti delicati», ha ammesso la senatrice Dianne Feinstein, presidente della Commissione di intelligence del Senato Usa.

[do action=”citazione”]L’ex consulente Cia rischia di rimanere bloccato come Assange. Putin: «Non sarà estradato»[/do]

Il 20 maggio, il trentenne statunitense – diventato per tutti la “talpa” del Datagate – è fuggito a Hong Kong. Vi è rimasto finché a un mandato di arresto internazionale per spionaggio e furto di proprietà del governo non è seguita una richiesta di estradizione rivolta dagli Stati uniti alla Cina. Con conseguenti minacce di ritorsioni. Secondo i legali di Snowden, la Cina – pur polemizzando apertamente con Washington – ha chiesto al giovane di lasciare il paese, ma si è anche adoperata per garantirgli una via di fuga sicura. Domenica scorsa la “talpa” – ormai al centro di un’incandescente questione diplomatica internazionale – è arrivata a Mosca. Da lì ha cercato di depistare giornalisti e inseguitori dicendosi su un volo per l’Avana, forse diretta in Ecuador, oppure in attesa di ottenere asilo dalla Finlandia o dal Venezuela. Quito ha ammesso di aver ricevuto una richiesta ufficiale da Snowden e di esser intenzionato a esaminarla «nella più completa sovranità». L’Ecuador ha anche fornito al fuggiasco un passaporto da rifugiato, dopo che gli Usa gli avevano invalidato il suo. Ieri Washington ha nuovamente fatto fuoco e fiamme nei confronti di Russia e Cina, accusandoli di aver protetto un ricercato senza documenti: «Non si può contare su di loro perché rispettino gli obblighi giuridici in materia di estradizione», ha affermato la diplomazia Usa rivolta alle autorità cinesi. Pechino ha replicato definendo le rimostranze «prive di fondamento». Putin ha ribadito che Snowden non sarà estradato «perché non ha commesso nessun reato in territorio russo», ha precisato che i servizi speciali del suo paese «non hanno mai lavorato con Snowden né lo faranno ora», e ha concluso che «le accuse contro la Russia sono deliranti».

Intanto, però, l’ex consulente Cia rischia di restare ai Transiti dell’aeroporto moscovita come il personaggio del film di Spielberg. Oppure come il cofondatore di WikiLeaks, Julian Assange, che da un anno non può uscire dall’ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove ha trovato rifugio. Quito gli ha concesso l’asilo politico, ma la Gran Bretagna pare sempre intenzionata a estradarlo in Svezia, dov’è accusato di stupro. Il 15 giugno, il ministro degli Esteri ecuadoriano Ricardo Patiño si è recato a Londra per negoziare con il suo omologo britannico, William Hague, un salvacondotto per fare uscire Assange, che il 20 ha partecipato in videoconferenza al Primo vertice del giornalismo responsabile che si è svolto nella città ecuadoriana di Guayaquil. Un incontro in cui il presidente Rafael Correa ha ribadito il suo impegno nella lotta contro «il latifondo mediatico», e Assange quello per la «trasparenza». Un impegno che ha rinnovato in questi giorni intervenendo a distanza sulla vicenda di Snowden, a cui il suo staff continua a fornire assistenza legale e concreta. «Snowden – ha scritto su Twitter Wikileaks – potrebbe rimanere in permanenza in Russia».