Capita spesso di incontrare biografie della scienza che hanno la forma di autoritratti: ruotano intorno ai loro autori piuttosto che gettare luce sullo stato complessivo di un dominio scientifico, sui suoi limiti, o i suoi passi falsi. Non è di questa natura l’ultimo libro di Lee Smolin, studioso insigne della gravità quantistica e dei fondamenti della fisica contemporanea, La rivoluzione incompiuta di Einstein La ricerca di ciò che c’è al di là dei quanti (Einaudi, pp. 286, € 28,00).

Alla fine del libro, l’atteggiamento di Smolin nei confronti della sua disciplina, il suo bilancio appassionato, fanno venire in mente quella «vita degna» – dedicata alla ricerca – che Socrate evocava nella sua apologia. Il riferimento alla docta ignorantia è del resto esplicito: «ho sempre immaginato che in futuro le persone ne sapranno molto di più e allora le nostre pretese di conoscenza sembreranno alquanto sciocche».

Più concretamente: portare a compimento le grandi rivoluzioni scientifiche del Novecento significa per Smolin infrangere l’inerzia che opprime l’accademia, spingendo a produrre montagne di pubblicazioni, su ipotesi teoriche che hanno già mostrato i loro limiti.

L’assillo di Einstein
Come proseguire, dunque, la «rivoluzione incompiuta di Einstein»? E qual è mai l’eredità che ci è stata lasciata dalla fisica del Novecento? L’assillo più grande di Einstein – nei suoi anni maturi – era il tentativo di trovare una descrizione unitaria di tutte le forze della natura. L’altra ossessione aveva a che fare con la velocità della luce, e la si può esprimere intuitivamente così: non si danno in natura enti fisici rigidi. Se ci si immagina, infatti, di applicare un impulso ad un’asta, che provochi lo spostamento dell’estremità più vicina, il concetto di corpo rigido implica uno spostamento simultaneo dell’estremità opposta, quale che sia la lunghezza dell’asta in questione. Tuttavia, l’eventualità di una trasmissione istantanea di processi fisici a distanza contraddice uno dei caposaldi della rivoluzione einsteiniana: tra punti separati nello spazio nessuna interazione fisica può darsi istantaneamente, o a velocità maggiori di quella della luce. Questa tesi è conforme a un principio di località, in favore del quale Einstein si batté senza tregua: l’idea che la meccanica quantistica possa implicare processi fisici non locali lo irritava moltissimo; sembrava dar spazio alla possibilità di un etere rigido, che riempie completamente lo spazio e consente interazioni istantanee a distanza.

Nella sua rassegna delle teorie alternative, impegnate a superare lo stallo che la fisica vive dalla seconda metà del XX secolo, Smolin accenna a una piega inaspettata della riflessione sui fondamenti, emersa agli inizi degli anni Novanta. La prospettiva di costruire computer quantistici – estremamente più potenti e veloci dei computer ordinari – ha trasformato il linguaggio della ricerca teorica: questioni come quelle della località, della contestualità o della controfattualità – connesse all’interpretazione di importanti risultati della fisica del Novecento – sono state riformulate come capitoli della teoria dell’informazione quantistica, un ibrido tra l’informatica e la fisica quantistica, che trasforma quei problemi fondazionali in altrettante criticità, sul cammino della realizzazione effettiva di computer quantistici. Gli specialisti di questo ambito hanno assunto progressivamente il profilo degli ingegneri, piuttosto che quello dei fisici e dei filosofi della scienza.

Proprio qui, tuttavia, si intravede il possibile scarto tra l’impostazione di Smolin e il lascito di Einstein. Mentre Smolin – diversamente dal suo mentore – sembra dare per scontato che la fisica teorica del futuro dovrà arrendersi alla non località (come è diventato un luogo comune, nella letteratura specialistica, e anche in quella di massa), diversi studiosi della computazione quantistica (come Karl Hess, Leonid Levin, David Mermin o Stephen Wolfram) hanno assunto posizioni più caute, condividendo lo scetticismo di alcuni fisici illustri (come Gerard ‘t Hooft, o Robert Griffiths) circa la possibilità di realizzare davvero tutte le promesse di quella computazione; scetticismo che, a ritroso, investe le più solide interpretazioni della meccanica quantistica, soprattutto quelle che danno per scontate «inquietanti» azioni a distanza (letteralmente, nei termini di Einstein: spukhafte Fernwirkung, reso in inglese come spooky action at a distance, espressioni che alludono a qualcosa di soprannaturale, di spettrale e di pauroso). È utile – in un quadro del genere – che alcuni nodi teorici della meccanica quantistica siano stati tradotti in problemi d’ordine pratico, con risvolti nel business: un conto è la pura teoria, un conto è la prospettiva industriale di macchine super-potenti, che mettano concretamente alla prova congetture «inquietanti».

Ma c’è un altro aspetto per il quale si può dubitare che la posizione di Smolin si situi davvero nella scia di Einstein: insieme a Carlo Rovelli, Lee Smolin è stato tra gli artefici della Loop Quantum Gravity, un tentativo di «quantizzare» la relatività generale, cercando di colmare il solco profondo che esiste, sin dalle origini, tra i due pilasti della fisica contemporanea. Il presupposto fondamentale della prospettiva di Einstein che Smolin condivide è l’idea che lo spazio-tempo non sia la scena, il contenitore (puramente geometrico e sempre uguale a sé stesso), all’interno del quale si svolgono i processi fisici; ma sia piuttosto il risultato dinamico di quei processi, i quali producono essi stessi lo spazio-tempo, dandogli forma.

In un contesto del genere, l’ambizione di Einstein era quella di arrivare a una descrizione unitaria di tutti i campi fisici, a partire dal campo elettromagnetico e da quello gravitazionale. Dalla sua morte, il programma di unificazione delle interazioni fisiche fondamentali ha conosciuto importanti successi. Soltanto la gravità ha resistito al programma. Poderose costruzioni teoriche puntano oggi allo stesso obiettivo; ma la Loop Quantum Gravity ha un’ambizione più limitata: «quantizzare» il campo gravitazionale, piuttosto che ricondurlo a un’unica teoria, con gli altri campi del mondo fisico.

Nella sua illuminante ricostruzione, Smolin arriva al presente proponendo una sorta di azzeramento dell’esegesi e dell’ermeneutica, una liberazione radicale dal peso soffocante della letteratura accademica; e, con ciò, un nuovo inizio, a partire da cinque principi fondamentali.

Astrazione e semplicità
Il lettore rimarrà probabilmente sorpreso, dal livello di astrazione e – insieme – dalla semplicità di questi presupposti teorici. Chi sarà in grado, a partire da principi così generali, di portare a compimento la rivoluzione di Einstein? Smolin conclude il suo libro con un auspicio: che, da qualche parte del mondo, si faccia avanti «uno studente brillante», con la stessa «arroganza» del giovane Einstein; qualcuno capace di trasgredire la regola così opprimente che vige nel mondo accademico, antico retaggio dei monasteri: «perpetuare il sapere antico e contrastare il nuovo». Voltare pagina, piuttosto, e provare a riempire, ancora una volta, pagine bianche.