Tra pochi giorni sapremo se l’Italia – e altri 8 Paesi dell’Ue tra cui Francia, Spagna, Germania e Regno Unito – saranno deferiti alla Corte di giustizia per la loro cronica inazione contro l’inquinamento atmosferico.
Inquinamento che in Europa è causa di oltre 400mila morti premature l’anno (Eea).

Il Commissario per l’Ambiente Karmenu Vella è stato duro, nelle ultime settimane, nel sollecitare questi Paesi a mettersi presto al passo con la normativa europea in materia di inquinamento atmosferico. Quello arrivato dalla Commissione è un vero ultimatum, al quale i ministri per l’ambiente hanno tentato di rispondere lo scorso 30 gennaio, convocati d’urgenza a Bruxelles, e poi nei giorni successivi, presentando i loro piani nazionali di risanamento della qualità dell’aria.

Se il ministro Galletti, impegnato a riflettere sulla sua vita post-dicastero, ha trasmesso un plico il cui senso è «a queste latitudini tutto bene» (ovvero: ha elencato quanto l’Italia ha già fatto, senza risultati sufficienti, confermando le ragioni della procedura d’infrazione), la Germania ha messo sul piatto qualcosa di molto più incisivo: secondo quanto appreso dall’agenzia Afp, i ministri di Ambiente, Agricoltura e Finanze avrebbero comunicato il loro impegno a rendere gratuito il trasporto pubblico locale.

Fosse un sasso nello stagno, sarebbe di quelli grossi. Non tanto, e non solamente, per gli effetti che un provvedimento del genere produrrebbe (anche se poi è sul metro di quelli che andrà valutato), quanto perché esso sembra riconfigurare il rapporto tra governi nazionali, industria dell’automobile, sanità pubblica; e sembra altresì ridisegnare il ruolo dello stato, espanderne la sfera d’influenza in controtendenza rispetto a quanto visto negli ultimi lustri. Mezzi pubblici gratis, ma non solo: l’esecutivo tedesco pensa anche a restrizioni sulle emissioni delle flotte di autobus e taxi, al varo di low emission zones, a politiche di sostegno al car-sharing e di incentivi per le auto elettriche. Tutte cose sacrosante, che andranno analizzate nel dettaglio: che è sempre lì, infine, che si annida il diavolo.

Fin dove si spingerà la Germania su un sentiero, in linea di principio, sgraditissimo a Volkswagen, Bmw, Audi, Opel? Intanto sappiamo dove non si è spinta l’Italia. Nel Paese con il più alto tasso di motorizzazione privata in Europa, il trasporto locale ha perso oltre sei punti di quota modale tra il 2002 e il 2016 (dal 37,2% al 31,1%); e dal 2005 al 2015 si è registrata una riduzione del 13% degli autobus circolanti (quasi 8.000 mezzi in meno, dati Asstra e Cdp). Non solo: l’Italia vanta il parco mezzi più anziano d’Europa con una media di età, in aumento, di 11,4 anni (contro i 7 dell’Ue). Di quasi 20 milioni di pendolari che ogni giorno, nel nostro Paese, utilizzano il Tpl, 14 salgono su un autobus: ovvero su un mezzo largamente preferibile all’auto e tuttavia più inefficiente, costoso e inquinante di treni, tram e metro. I dati economici e finanziari delle aziende di trasporto pubblico, poi, mostrano luci per lo più fievoli, e ombre, a volte cupissime.

Secondo un’indagine di Mediobanca sulle principali partecipate locali, quelle del trasporto pubblico rappresentano l’unico settore in perdita (-1,1 miliardi di euro tra il 2011 e il 2015), a fronte di 14,8 miliardi di finanziamenti pubblici. Ci sono segnali di ripresa: nel 2015 «solamente» 22 aziende (il 19%, contro il 54% del 2009) ha chiuso in rosso; 94 hanno fatto utili. Ma il dato contabile non coincide, non in misura apprezzabile, con l’efficacia del servizio e la penetrazione modale: si tratta più di «risanamenti» che di fare la differenza nel sistema, complessissimo, dei trasporti.

Di certo resterà difficile cambiare rotta fin quando non si sarà disposti a demolire, in larga misura, il totem dell’automobile privata: ovvero, intaccare l’asset fondante del cartello/duopolio Fiat-Eni, capace ancora di orientare le scelte strategiche di fondo in materia industriale ed energetica in Italia. Chiunque dubitasse di questa affermazione, può leggere l’ultima Strategia Energetica Nazionale, varata pochi mesi or sono da Calenda, e studiare soprattutto il capitolo trasporti. Illuminante.

* Responsabile Campagna trasporti Greenpeace