«La soluzione migliore sarebbe la discontinuità rispetto al fallimento dei 14 mesi che abbiamo alle spalle. Ma oggi bisogna cercare un accordo e dare un governo politico forte al Paese. Sbarrare la strada ai nazionalisti e ai razzisti rimane la priorità». L’europarlamentare Massimiliano Smeriglio è stato il primo, proprio da questo giornale, a chiedere il «disgelo» del dialogo con i 5 Stelle. Era dicembre del 2018. All’epoca nel Pd solo nominare il movimento di Grillo era una bestemmia. Smeriglio fu linciato, renziani in testa. Gli stessi che a questo giro per primi hanno lanciato un accordo con M5S, e senza condizioni.

Smeriglio, alla fine ci sono arrivati tutti nel Pd?
C’è voluto tempo e spalle larghe ma alla fine l’ha capito persino Renzi. Ma non basta, non può essere una mossa tattica. La linea politica deve camminare su programmi di rinnovamento radicale e biografie non disponibili a cavalcare qualsiasi stagione. Bisogna tornare allo spirito di Piazza Grande. Essere all’altezza delle aspettative suscitate. Chiedere aiuto a tutte le esperienze e persone coinvolte in quella fase di speranza. Coniugare la discontinuità con biografie capaci di praticarla. La credibilità, per noi che combattiamo il trasformismo, è un valore irrinunciabile.

Fin qui di questo rinnovamento non c’è traccia. Da Pd e M5S arrivano titoli generici: riconversione ecologica, ridistribuzione, investimenti. Tutto bello, ma poco concreto.
Sbagliano i 5 Stelle a non capire fino in fondo la svolta di cui il Paese ha bisogno dopo la sbornia di propaganda, ferocia e poco altro. E poi non sono titoli generici. Su reddito, salario, riconversione ecologica, welfare e diritti: ci metterei la firma.

Dunque aveva ragione Zingaretti a dire no a Conte. Ma è stato battuto, per primo nel Pd.
È sbagliato ragionare di vittorie e sconfitte, siamo in un processo complesso. Alla stretta è stato Nicola a decidere. Perché è il segretario e perché ha un mandato pieno. E la responsabilità di dare stabilità al Paese conta più delle vicende interne.

Torniamo al governo. Rischia di essere un vecchio governo Conte con innesti di vecchio governo Renzi.
Penso una cosa semplice: sarebbe importante per il Paese avere Zingaretti, il segretario del partito, in un ruolo di visibilità e responsabilità. Sarebbe lui la vera novità e discontinuità, il riferimento di una storia nuova tutta da scrivere. Lui e una delegazione dem fondata su parità di genere e volti nuovi.

Zingaretti non entrerà nel governo. E ripeto: anche la squadra di cui si parla è in gran parte costituita da usato, non tutto sicuro.
Se nascerà un esecutivo, al Pd e alla sinistra devono andare ministeri importanti, risorse per mettere mano alla crisi che stiamo attraversando. Bisogna dare cittadinanza alle buone pratiche sparse per il Paese. Servono programmi innovativi e una buona dose di biografie capaci di svecchiare il quadro. E qualche grande saggio. Ci vuole coraggio e apertura a intellettuali e portatori di competenze. Bisogna cambiare passo, linguaggio e stili di governo. Meno chiacchiere, meno social, più sobrietà, coraggio e competenza. L’idea del governo del fare intrecciato ad una visione alta in regione Lazio ha dato buoni frutti.

Non ha la maggioranza dei gruppi parlamentari, non sarà al governo: Zingaretti non diventa fatalmente più debole?
So bene che vuole concentrarsi sul partito, ma appunto il partito e il centrosinistra hanno bisogno di riunificare la leadership. Non c’è bisogno di ulteriore frammentazione. Il Pd e la sinistra dopo anni di guerre interne si troverebbe con un unico punto di riferimento. Unità di azione e leadership unica. Come in fondo hanno fatto prima di lui Renzi, Di Maio, Salvini. In ogni caso deve essere il segretario il garante unico di questa operazione che potrebbe cambiare il quadro politico italiano dei prossimi anni.

Non rischiate di strozzare in culla il faticoso processo di rigenerazione su cui è stato vinto l’ultimo congresso?
Abbiamo l’obbligo di discutere, ascoltare, raccogliere critiche e idee, rimettere in moto la connessione sentimentale con il nostro popolo. Non può essere un accordo di sindacato tra addetti ai lavori chiusi in un palazzo.

Un “grande vecchio” come Emanuele Macaluso vi ha messo in guardia dalla scelta che state facendo. Zingaretti ha ammesso di avere avuto dubbi. Lei non ne ha?
Sono fiducioso. Continuo a pensare allo spirito di Piazza grande, che ha permesso a Nicola di stravincere le primarie ridando fiducia, aprendo porte e finestre. Il peggior pericolo sarebbe andare in bocca alle critiche della destra estrema che ci dipingerà come un palazzo impaurito, chiuso contro il popolo sovrano, la democrazia, il voto. Evitiamo di dargli ragione e contribuire alla sua prossima campagna elettorale. Se si parte, deve cambiare tutto a sinistra, a partire dal rapporto con il M5S. Cominciando da una svolta anche alle regionali, Umbria e Emilia in testa. E nel rapporto con quel movimento contraddittorio, spesso plebeo, possiamo misurare e cambiare noi stessi. Perché anche il nostro mondo è disseminato da errori e macerie da rimuovere al più presto.