I lavoratori della fabbrica Smart di Hambach (Mosella) hanno accettato, al 56%, la proposta della direzione, considerata un “ricatto” dalla maggioranza dei sindacati: in cambio della promessa di mantenere l’attività nel sito fino al 2020 (e di non delocalizzare in Slovacchia) da parte della casa madre Daimler, hanno votato a favore dell’abbandono delle 35 ore, per passare a 39 ore settimanali per di più pagate 37, con un aumento di 120 euro al mese, bloccato per 5 anni, e un premio un tantum di mille euro. Cioè un aumento dell’orario del 12% contro una crescita del salario del 6%. I 367 operai hanno votato in maggioranza contro questa proposta, ma i 385 tecnici e quadri hanno ribaltato il risultato (hanno accettato la proposta al 74%, ma per loro le condizioni sono meno dure, perché dovranno rinunciare a 10 sulle 20 ore di Rtt, riduzione del tempo di lavoro legata alla norma della 35 ore). La Smart di Hambach fa utili, non è per nulla in crisi, ma per la direzione deve poter concorrere con altri siti per aggiudicarsi la produzione della quarta generazione del modello automobilistico, mostrando maggiore “competitività”. La Daimler manterrà la promessa di non delocalizzare verso paesi a bassi salari? Alla Continental di Clairoix, qualche anno fa, per esempio, i lavoratori avevano votato a favore di un passaggio da 35 a 39 ore, ma poi la fabbrica di pneumatici aveva comunque chiuso. Il voto della Smart è già sfruttao politicamente: “il tabù delle 35 ore, caro alla sinistra – ha commentato l’ex primo ministro François Fillon, dei Repubblicani – non resiste al buon senso dei lavoratori”.

In questi giorni, il codice del lavoro è sotto attacco in Francia, perché giudicato troppo complesso e “illeggibile”, bisognoso di una “spolverata”. François Hollande ha precisato che non verrà toccata la durata legale del lavoro a 35 ore né lo Smic (salario minimo). Ma, nei fatti, ormai esistono molte deroghe alle 35 ore, per motivi di competitività o altri, con accordi raggiunti a livello di impresa. Qualche giorno fa, il governo ha ricevuto un rapporto sulla riforma del diritto del lavoro, redatto da Jean-Denis Combrexelle, del Consiglio di stato. Con molta prudenza, Combrexelle propone delle modifiche, per “un migliore adattamento del diritto del lavoro alla realtà delle imprese”. I sindacati riformisti, come la Cfdt, sono pronti a discutere, mentre la Cgt resta contraria. Il timore è che, con la scusa di semplificare e modernizzare, vengano ridotti i diritti dei lavoratori, in base all’idea difesa dal padronato che troppi lacci e lacciuoli frenino le assunzioni e alimentino l’alta disoccupazione nel paese. Nel giugno scorso, un saggio dell’ex ministro Robert Badinter (scritto con Antoine Lyon-Caen), Le travail et la loi, ha creato un terremoto: una delle figure più ascoltate della sinistra, padre dell’abolizione della pena di morte, propone di semplificare il codice del lavoro, per renderlo più leggibile e applicabile. Combrexelle propone di abbassare a livelli più bassi le decisioni: meno leggi e maggiore contrattazione, a livello di categoria ma anche di impresa.