Festeggia il ventesimo compleanno lo Skip City International D-Cinema Festival, manifestazione creata nel 2004 nella cittadina di Kawaguchi, Saitama, e dedicata originariamente alla scoperta del cinema in digitale. Naturalmente questa al giorno d’oggi è diventata quasi la norma, ma il festival in questi ultimi due decenni ha comunque continuato quella che era, oltre al formato tecnologico, la sua missione, cioè il far conoscere nuovi autori al pubblico giapponese.

L’EDIZIONE di quest’anno si è conclusa da pochi giorni premiando come miglior film Sunday, dell’uzbeko Kholikov Shokir, e come premio speciale della giuria il film di casa Happy Life. Nella competizione dedicata ai film dell’arcipelago hanno invece ottenuto riconoscimenti Midnight Sun e Poems of Flower Rain, titoli giapponesi che rivelano un interessante spaccato dell’approccio stilistico di alcune nuove, giovani o meno giovani, voci del panorama cinematografico del Sol Levante.
Midnight Sun ne è un perfetto esempio, opera realizzata come tesi di laurea da Murata Hina, il film mette in immagini con un taglio fresco e mai troppo drammatico le difficoltà della ventenne Fumi a lasciare la sua famiglia. La madre non c’è più e il fratello vive rinchiuso in casa da quasi dieci anni, con il padre che ne nega quasi l’esistenza, causa il coming out del ragazzo. Le vicende si sviluppano su due piani, quello della grigia quotidianità e quello onirico, in cui Fumi ed il fratello Mitsuki passano le giornate estive sulla spiaggia.
È ancora l’assenza della madre e moglie, che muore ancora giovane, a rompere l’equilibrio di una famiglia e gettare il padre in una sorta di stato catatonico in Happy Life. Al posto delle figure genitoriali, ad occuparsi dei suoi fratellini è Kiki, studentessa che però lavora per poter pagare le bollette. Lungometraggio realizzato dal regista Taniguchi Yoshihiko con i suoi giovani alunni della scuola di recitazione, il film è un piccolo miracolo per l’equilibrio con cui riesce a narrare le vicissitudini della famiglia e il rapporto di Kiki con il mondo circostante, grazie soprattutto all’ottima prova attoriale della diciassettenne Nishiguchi Chiyuri nel ruolo della protagonista.
Formalmente meno riuscito, ma comunque ricco di spunti interessanti è Poems of Flower Rain, con cui il regista Park Jengil affronta una tematica poco discussa nell’arcipelago, quella della vita quotidiana dei coreani di seconda o terza generazione, o zainichi. Harumi e Reiko sono due sorelle nate nell’arcipelago da madre di origine coreana, anch’essa nata in Giappone. Nessuno nella famiglia parla coreano e culturalmente, a parte qualche piatto preparato ed il vestito tradizionale tenuto nell’armadio, sono per la gran parte giapponesi.

IL PASSAPORTO è però ancora coreano e hanno tutti cambiato il loro nome per nascondere le origini. Sospese in questa sorta di limbo, la più matura Reiko vuole sposarsi con un ragazzo giapponese, mentre la più sbarazzina Harumi frequenta ancora l’università. Il tono del film è leggero in superficie, ma ci sono almeno un paio di scene che mettono in luce la discriminazione presente nelle persone che frequentano. Un agente immobiliare che commenta come dalle case dei coreani esca un forte odore di cibo, e la conversazione fra studentesse universitarie che commentano sulle loro preferenze riguardo ai ragazzi stranieri. Queste osservazioni possono sembrare non troppo forti, ma nel contesto della storia finiscono per cristallizzare quel senso di non appartenenza e dubbio sulla propria identità che è presente, come un’ombra, nelle due ragazze.

matteo.boscarol@gmail.com