Un gruppetto di simpatici personaggi intesse trame che hanno luogo in una manciata di ambientazioni ricorrenti. Lo schema generale è pressappoco così. La sitcom, per esteso situation comedy, è una formula vincente che permette infinite declinazioni, nei casi più riusciti senza mai perdere mordente. Un vero cult della tv statunitense.

IL SEGRETO
Il segreto del successo è che gli episodi, generalmente non interconnessi, pur inserendosi in una trama complessiva, si risolvono sempre nel ripristino puntuale dello status quo. Una formidabile ricetta che ha dato il meglio in un particolare subgenere esploso tra gli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio: la sitcom animata, che in quanto tale può prendersi infinite libertà.
Con l’animazione c’è da sbizzarrirsi e non solo nel disegno, ma anche, e soprattutto, nell’estro musicale. Questo filone della serialità televisiva, noto per l’umorismo nero – che solo un cartoon consente – ha identificato nella cifra musicale un imprevedibile jolly in grado di spiazzare sempre il pubblico. Musical, canzoni originali e parodiate sono la linfa vitale di molte scene di satira feroce o semplicemente comiche all’inverosimile, passate alla storia per il loro essere spudorate, divertenti, creative, geniali. La giusta canzone alle volte riesce a scardinare anche i tabù più spinosi, ad alzare l’asticella spingendo la narrazione sempre più in là. E I Griffin ne sono la prova. Il capolavoro di Seth MacFarlane è conosciuto in patria come Family Guy: «Ai Griffin piace essere lo specchio della società e dire, ’Società tu fai orrore, e a noi non piacciono le cose che fai’». Le parole del suo creatore chiariscono perfettamente lo spirito dello show.
La famiglia del Rhode Island con il suo patriarca Peter, apparsa per la prima volta in tv nel 1999, oltre a essere irriverente e scorretta nei contenuti, è lucidissima nel mettere alla berlina personaggi e temi caldi protagonisti del dibattito pubblico. E non perde occasione per farlo attraverso un buon numero musicale, una parodia o un omaggio a una qualche canzone. La stessa sequenza di apertura strizza l’occhio ai grandi numeri di Broadway. La sigla si apre sul salotto di casa Griffin con Lois che suona un motivetto al piano in una riproposizione parodica di All in the family (la sitcom anni ’70 in Italia nota come Arcibaldo), ma non appena marito e figli si uniscono alla canzone lo scenario cambia. A metà tra Singin’ in the Rain e Footlight Parade, i personaggi in sfavillanti abiti dorati si lanciano sul palcoscenico di un grande varietà.

UNO SWING
Su un innocuo tema swing, i Griffin sanno costruire un impero della risata scorretta. Nell’episodio della dodicesima stagione Baby Got Black, Peter pensa bene di rassicurare l’amico afroamericano Jerome riguardo alla relazione tra i rispettivi figli, cantandogli «Grazie ai bianchi» su Pass Me By di Sinatra, riscritta per l’occasione. Nell’episodio Medium Extra Large vediamo il piccolo Stewie istruire il fratello maggiore Chris su come conquistare la donna dei sogni, Ellen, una ragazza con la sindrome di Down. Da qui la canzone omonima appositamente composta e arrangiata che conquista pure una nomination agli Emmy. Musica da big band, piroette e passi di tip tap accompagnano i preparativi in vista dell’appuntamento galante che diventa occasione per una bizzarra performance. E ancora il pezzo You Have Aids in cui Peter membro del quartetto dei Barbieri partecipa a un coro dal testo eccessivo, come dice lo stesso MacFarlane «un cuscinetto musicale che impedisce di essere troppo pesanti, pur essendo pesanti».
Ma ci sono anche esempi più virtuosi, produzioni musicali che vogliono sinceramente fare della critica sociale sensata o anche solo emozionare il pubblico. In uno degli speciali di Natale che la serie è solita fare, una canzone che vede Santa Claus e i suoi elfi preparare i regali, abbrutiti da ritmi da catena di montaggio, denuncia consumismo e cupidigia facendo guadagnare allo show la sua prima nomination ai Grammy. Nell’episodio Baby not in Board i Griffin sono in viaggio e per passare il tempo, decidono di cantare qualcosa. Invece dei classici come 99 Bottles of Beer o This Old Man si lanciano nella perfetta esecuzione di The Rose di Amanda McBroom: accantonate le buffonate c’è il tempo per un appassionato e sincero omaggio.

PASSIONI
Controversa ma anche molto apprezzata dalla critica, la famiglia Griffin, di stagione in stagione, ha fatto dell’elemento musicale un suo tratto distintivo. Del resto, la passione per il canto e i grandi della musica è viscerale in Seth MacFarlane, creatore e autore dei testi e impareggiabile interprete vocale di diversi personaggi: lo scellerato protagonista Peter, il geniale bebè Stewie, il cane Brian e l’erotomane Quagmire.
Pianista, cantante dal timbro baritonale, Seth si è formato con Lee e Sally Sweetland, i vocal coach di Barbara Streisand e Frank Sinatra. Ha una conoscenza enciclopedica della musica popolare e insieme a uno dei compositori della serie, Ron Jones, è parte del gruppo Influence Jazz Orchestra con cui si esibisce in giro per Los Angeles. Una vocazione che lo spinge oltre gli acclamati progetti televisivi con album come Family Guy: Live in Vegas composto da canzoni originali mai apparse nello show, curiosa miscela di arrangiamenti alla Rat Pack e fiumi di battute scorrette.
Seth è talmente ossessionato da Broadway che immagina perfino un film dedicato ai suoi personaggi come un musical vecchio stile, una sorta di The Sound of Music o qualcosa di musicalmente simile.
È bene ricordare però, che il grande passo MacFarlane l’ha già fatto con il film Ted: con la sua caratteristica verve, unita al talento musicale, ha rischiato l’Oscar alla miglior canzone per Everybody Needs a Best Friend, sempre in tandem con il compositore di fiducia. Il successo, infatti, è da spartire con Walter Murphy, conosciuto ai più per la sua strumentale A Fifth of Beethoven, resa immortale da La febbre del sabato sera. Sue sono le combinazioni di swing, big band e action orchestral onnipresenti in ogni episodio de I Griffin. Non è infrequente che in un episodio si arrivino a impiegare anche 90 pezzi orchestrali e la lista si allunga per i Road to, ciclo parodia dei film commedia di Bing Crosby e Bob Hope in cui il musical fa da padrone.
È fuor di dubbio che il duo Murphy-MacFarlane abbia dato alla comedy music nuova vita, perfino Spike Jones oggi impallidirebbe difronte a Peter che sfida Michael Moore a colpi di flatulenze, scimmiottando il pezzo Dueling Banjos da Un tranquillo weekend di paura, il film di Boorman.
Sempre a proposito di commedia e musica, se c’è una cosa che queste fanno bene insieme è creare movimenti d’opinione e diffondere idee, una controcultura di cui la famiglia Griffin si fa interprete. Uno tra i tanti è il tema della legalizzazione, affrontato più volte e da punti di vista differenti, ma sempre accompagnato da una canzone. Nell’episodio Lando il mito! – dalla seconda stagione – Peter si infiltra nel Liceo James Woods e, in versione John Travolta, fa pubblicità progresso sulla falsa riga di You’re the One that I Want.

IL TONO
Ben diverso è il tono del più recente A Bag of Weed, brano che riprende Me Ol’ Bamboo dal film Chitty Chitty Bang Bang; qui il piccolo Stewie e il cane Brian cantano le lodi della marijuana guadagnandosi la messa al bando della serie da parte del governo venezuelano. L’audace comicità de I Griffin è stata però ricompensata dalle ben ventisette nomination e otto vittorie agli Emmy, ed è fondante in tutte le creazioni animate di Seth MacFarlane.
Anche American Dad!, la serie tv animata creata da MacFarlane nel 2005, nata in risposta all’amministrazione Bush e alle contese presidenziali del 2000, ha un’anima fortemente politica e provocatoria. La sferzante satira che lo caratterizza traspare già dalla sigla d’apertura ispirata al motivo introduttivo di Stars and Stripes Forever: il protagonista Stan e la sua famiglia, gli Smith, salutano il pubblico in stile The Music Man (Il capobanda, il film del ’62) sulle note di «Buongiorno America» (Good Morning Usa, sigla introduttiva della serie). Aggressivamente patriottica, dall’ottimismo stucchevole, introduce perfettamente quelle che sono le prerogative dello show. Scagliarsi contro i fanatismi – dei conservatori in primis, pur non risparmiando colpi anche alle esasperazioni liberali – attraverso le storie di una famiglia bianca della classe media, afflitta dai tipici First World Problems cantati da “Weird Al” Yankovic, guru dell’umorismo in musica.
Nonostante la guida creativa sia delegata ai collaboratori di Seth (Mike Barker e Matt Weitzman), American Dad! resta fedele al prezioso utilizzo dell’espediente musicale per scatenare ilarità. Indimenticabile Daddy’s Gone dalla puntata Hot Water con tanto di videoclip alla Cry For You dei Jodeci. Rilasciata su iTunes e perfino eseguita dal cast dal vivo al Comic-Con di San Diego, è sentimentale e languida quanto basta per rendere il tutto comico all’inverosimile. Sulla stessa lunghezza d’onda Friendiversary dall’episodio Lost Boys, parodia di Anniversary dei Tony! Toni! Toné! anche qui presentata con un divertente remake del video. Se I Griffin si crogiola spesso in leziose atmosfere da show tune, il Papà americano ha la sua ragion d’essere, musicalmente parlando, nell’hip hop, nel soul, ma soprattutto nel contemporary R&B. Da segnalare anche l’Irangate raccontato in stile Schoolhouse Rock! e Papa Don’t Preach rivista e corretta da Roger l’alieno che, travestito da Madonna, mette in musica la decisione di diventare madre surrogata. Insomma, se tra i credits compare il nome di Seth MacFarlane, sappiate già che sarete travolti da una valanga di citazioni e di riferimenti evocati persino attraverso i i nomi dei personaggi, come il Kenny West di The Cleveland Show – serie spin off de I Griffin – storpiatura del nome del rapper di Atlanta.

PADRI FONDATORI
Oltre ai crossover, è la frequente presenza di camei ad accomunare tutte le sitcom animate. Dal mondo dello spettacolo, dello sport, della musica, le star chiedono di prestare la voce alla versione cartoon di se stesse per firmare la propria apparizione negli show. Due titoli, storici e rivali, con il passare delle stagioni hanno collezionato una quantità di ospitate da record: chiunque abbia un nome è apparso almeno una volta ne I Simpson e in South Park. Più che mai volgare e destinata a un pubblico adulto, la serie di Trey Parker e Matt Stone è riuscita a mettere insieme in un’unica puntata – Chef Aid del ’98 – Elton John, Rick James, Meat Loaf, Joe Strummer, Ozzy Osbourne, DMX, i Primus, i Rancid e i Ween. Il software audio utilizzato non può competere con l’orchestra sinfonica di 40 strumentisti a disposizione di MacFarlane ma, in fatto di comparsate, a tenere testa a questo concentrato di Cutout animation e black humor c’è solo la famiglia in giallo di Springfield. Due parodie dell’American way dall’impatto culturale enorme, molto diverse nei modi e nei toni: da un lato uno spaccato leggero della società degli anni Novanta, dall’altro una commedia nera sboccata e sempre sopra le righe.

IN VETTA
Entrambe le serie devono parte del loro straordinario successo alla propria divertente discografia: brani musicali passati alla storia, entrati in classifica e talvolta arrivati in vetta. Nel caso de I Simpson oltre a canzoni come Tutti odiano Ned Flanders che vede Homer duettare con il frontman dei Talking Heads (formula utilizzata più volte dall’autore Matt Groening anche nella sua sitcom animata Futurama, dove ad esempio per My Broken Friend ha affiancato Beck a Bender il robot), vennero incisi molti brani destinati esclusivamente agli album. Tra tutti il singolo del 1990 Do the Bartman, successo internazionale, disco d’oro, numero uno in Gran Bretagna. Fu lo stesso showrunner ad attribuirne in seguito la scrittura e l’incisione delle parti del coro a Michael Jackson, il quale tuttavia non ricevette mai nessun credito.
Insieme a Deep, Deep Trouble è parte di The Simpsons Sing the Blues, primo album propaggine del cartoon, mix di cover di vecchi brani come God Bless the Child e canzoni originali appositamente composte, con partecipazioni del calibro di B.B. King. L’album conquista rapidamente il terzo posto della classifica di Billboard venendo certificato disco di platino. Otto anni più tardi usciva Chef Aid: The South Park Album. Con due copertine da collezione, tre versioni «clean», «explicit» e «extreme», si presenta come un album dal vivo dominato dal cantante soul Isaac Hayes, voce del personaggio di Chef. Il singolo Chocolate Salty Balls, che allude per nulla velatamente agli attributi maschili, sotto Natale scippò il primo posto alle Spice Girls divenendo il trentesimo singolo più venduto degli anni Novanta. Tra le new entry che meglio hanno capitalizzato la ricca eredità musicale, c’è la sitcom animata Bob’s Burgers, che vede la famiglia Belcher alle prese con la quotidiana gestione del loro ristorante e dei chiassosi bambini. Alcuni dei momenti musicali che meglio esprimono il talento vocale del cast e la bizzarria degli sceneggiatori sono Electric Love dalla terza stagione, un passionale duetto tra Thomas Edison e l’elefante che l’inventore avrebbe fulminato, The Fart Song, la visionaria opera rock su come «le scoregge ti renderanno libero» e This Is Working dall’episodio Lindapendent Woman. In ogni episodio c’è almeno una melodia originale creata dall’ideatore dello show Loren Bouchard insieme al compositore John D. Keith con il duo musicale Elegant Too. Le tracce apparse fino ad ora sono oltre 150 e spaziano dal reggae allo shoegaze, senza dimenticare i grandi musical anni Ottanta. Nella sigla domina l’ukulele, ma l’anima rock del cartoon emerge a più riprese. Esemplare la collaborazione con le Sleater-Kinney di Seattle che per il loro video musicale di A New Wave appaiono in versione cartoon assieme ai personaggi di Bob’s Burgers. Da tenere d’occhio Rick and Morty, l’elaborato horror lovecraftiano di Justin Roiland e Dan Harmon. Con una trama alla Ritorno al futuro e un team di quasi cinquanta animatori segue le rocambolesche avventure di un cinico scienziato pazzo in compagnia del suo sempliciotto quanto mai nervoso nipote. Di grande spessore filosofico, notevole profondità emotiva e un’assoluta vocazione per l’assurdo non può che eccellere nell’utilizzo della musica come potentissimo collante.
Il duo indie Chaos Chaos è diventato un punto fermo per quanto riguarda l’accompagnamento musicale dei momenti più drammatici dello show: nell’episodio Auto Erotic Assimilation la canzone synthpop Do You Feel It?, che parla della lacerante contraddizione tra il bisogno di connessione e la diffidenza, fa da sfondo al tentato suicidio di Rick, probabilmente uno dei momenti più bui della serie. In chiusura un’apprezzatissima «sadcom» animata del 2014 che si è da poco conclusa. BoJack Horseman, caratterizzata dalla coesistenza di umani e animali antropomorfi, tratta principalmente il tema della depressione e della dipendenza servendosi di un umorismo tragicomico che fa satira sullo sfavillante mondo dello showbiz. Le note di apertura vagamente blues, sono di Patrick Carney dei Black Keys e accompagnano il protagonista dalla testa di cavallo nella sua narcotizzante routine. Insieme al tema dei titoli di coda, Back in the 90’s, eseguito dal gruppo indie pop Grouplove, sono diventate subito un cult.
Nello show viene fatto un uso massiccio della musica, ma come da tradizione a fare la differenza sono le canzoni originali. Non possono mancare ovviamente i musical in stile Broadway per raccontare le allucinazioni di una mente drogata o le rock opera dai titoli ridicolmente pleonastici e neppure le scorrettezze alla Yankovic (che nella sitcom appare ben due volte). Il controverso episodio della terza stagione Brrap Brrap Pew Pew ci regala una delle più strambe e provocatorie canzoni pro aborto. Nel suo videoclip di Get Dat Fetus, Kill Dat Fetus, la popstar-delfino Sextina Aquafina si esibisce in una sconcertante coreografia a metà tra il gangsta e lo sci-fi con pistole laser e astronavi spaziali pronte a far fuoco sul grembo materno. Imperdibile.