Médecins sans frontières, in un comunicato, afferma che 335 corpi di cittadini siriani deceduti mercoledì, dopo il massacro di Goutha, a est di Damasco, presentano «segni neurotossici» e che la provenienza dei pazienti – ne sono stati curati 3600 – e la contaminazione dei soccorritori e del personale che ha fornito le prime cure «suggeriscono fortemente» che siano stati vittime di una «esposizione massiccia a agenti neurotossici». È la prima fonte indipendente a confermare le accuse di un attacco con armi chimiche in Siria. Il ministro degli esteri francese, Laurent Fabius, che ieri era in Cisgiordania, ha parlato di «massacro chimico». Se si confermerà, ha aggiunto, «non potrà che esserci una reazione forte».

Obama è più prudente. Ma gli Usa si preparano a «diverse opzioni», ha precisato il capo del Pentagono Chuck Hagel: intanto, un quarto destroyer della VI Flotta del Mediterraneo resta sul posto invece di tornare, come previsto, alla sua base di Norkfolk sulla costa est degli Usa. È armato, come le altre tre navi da guerra presenti nella regione, di missili Tomahawk. La dottrina Usa, in caso di intervento, prevede il ricorso all’utilizzazione di missili per «aprire le porte», come era successo in Libia, dove nei primi giorni del conflitto del 2011, gli Usa e la Gran Bretagna avevano tirato circa 110 missili Tomahawk. Un altro precedente che è studiato oggi con attenzione a Washington, rivela il New York Times, è quello del Kosovo: l’intervento di Bill Clinton del ’99 si era limitato a soli attacchi aerei, incursioni durate 78 giorni. Anche nell’eventualità di un intervento in Siria, per il momento è escluso l’invio di truppe a terra. Neppure la creazione di una zona di esclusione area sarebbe allo studio. Hagel ha escluso che se ne sia parlato nella riunione che Obama ha avuto ieri con i responsabili della sicurezza nazionale. Ma ha aggiunto che se si confermerà, il ricorso ad armi chimiche è «molto inquietante».

Obama è reticente verso nuove avventure militari, il Congresso è diviso. Per il momento, il presidente americano aspetta di vederci più chiaro su quello che è successo questa settimana. L’alta rappresentante dell’Onu per il disarmo, Angela Kane, è da ieri a Damasco, dove cerca di negoziare le modalità per realizzare un’inchiesta che chiarisca cosa è successo mercoledì. Laurent Fabius ha invece usato toni più decisi: «Tutte le informazioni di cui disponiamo – ha detto il ministro francese in visita a Ramallah – convergono per dire che c’è stato un massacro chimico vicino a Damasco e indicano che il regime di Bachar al-Assad ne è all’origine». Per Fabius, se il regime di Assad «non ha nulla da nascondere», deve permettere ai controllori dell’Onu di «recarsi molto rapidamente sul terreno». La cancelliera tedesca Angela Merkel è invece contraria all’opzione militare e spinge per «trovare una soluzione politica».

L’opposizione accusa il governo siriano di aver fatto ricorso ad armi chimiche e afferma che ci sono stati tra i 500 e i 1300 morti. L’Osservatorio siriano per i diritti dell’uomo ha constatato 170 decessi. L’uso di armi chimiche è confermato anche dall’Iran, alleato di Assad, che però accusa i ribelli, come la tv di stato siriana che ha diffuso la notizia di soldati asfissiati in un tunnel controllato dai ribelli. L’Iran, che ha subito attacchi con armi chimiche negli anni ’80 nel corso della guerra con l’Iraq, ne ha condannato ieri «decisamente e fermamente» l’utilizzazione e ha invitato la comunità internazionale a «usare tutta la sua potenza per impedire l’utilizzo di queste armi dappertutto, in particolare in Siria». La Russia ha consigliato ieri al suo alleato Assad di cooperare con l’Onu, accusando l’opposizione, che per il ministro degli esteri Serguei Lavrov, «non è pronta a garantire la sicurezza e il lavoro degli esperti dell’Onu nei territori controllati dagli attivisti». Venerdì, Obama aveva espresso prudenza: «Vediamo gente che reclama un’azione immediata, ma precipitarsi a fare cose che potrebbero finire male, implicarsi in situazioni molto difficili che possono implicare interventi molto complicati e costosi» non farebbe che «aumentare il risentimento» contro gli Usa nella regione, resa ancora più instabile a causa del colpo di stato in Egitto. Preoccupa il coinvolgimento del Libano, dove a Tripoli c’è stato un doppio attentato contro due moschee sunnite, che ha fatto 45 morti e 280 feriti, e il rischio profughi, che coinvolgerebbe Turchia e Giordania.