La risoluzione sulla Siria, approvata nel fine settimana dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ieri è entrata nella sua fase operativa. Una squadra di esperti internazionali per il disarmo è arrivata a Damasco per iniziare a lavorare sullo smantellamento dell’arsenale siriano di armi chimiche. Comincia così una fase delicata durante la quale si vivrà con il pericolo costante delle “inadempienze”: quelle vere che potrebbe commettere il regime siriano e quelle fasulle create da chi punta a dimostrare “l’inaffidabilità” di Bashar Assad e l’inevitabilità di un intervento militare internazionale contro Damasco.

E’ la prima volta che all’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) viene chiesto di distruggere l’arsenale chimico di un Paese durante una guerra. La Siria ha ribadito la sua volontà di rispettare la risoluzione dell’Onu, ma per l’Opac non sarà un compito facile da portare a termine anche perchè, come ha comunicato il ministro degli esteri siriano Walid al Moallem, sette dei 19 siti di armi chimiche dichiarati dal suo governo il mese scorso si trovano in aree di conflitto. Gli ispettori dell’Opac dovranno inquadrare e supervisionare la distruzione delle armi chimiche – 1.000 tonnellate, di cui 300 tonnellate di gas mostarda – da parte di Damasco entro il primo semestre del 2014. Un rischio all’orizzonte è la mancanza di fondi. Secondo Assad la distruzione delle armi chimiche costerà alla Siria circa un miliardo di dollari. Gli ispettori sono tutti volontari, in gran parte ex militari specializzati nelle armi chimiche, ingegneri e specialisti paramedici. In un primo tempo verificheranno i siti che figurano nella lista trasmessa da Damasco e si assicureranno che i siti di produzione di armi saranno inutilizzabili prima di fine ottobre-inizio novembre, facendo, si dice, uso di carri armati ed esplosivi. Poi saranno usati metodi più appropriati e di lunga durata per portare a termine il processo di distruzione dei siti di produzione e degli stock di armi chimiche. I russi avranno “parte attiva” tra gli ispettori e saranno coinvolti in tutte le fasi di attuazione del programma. Si tratta di un processo molto fragile. Tutti i protagonisti della guerra civile giocheranno le loro carte, ognuno con l’intento di ottenere il massimo dei vantaggi militari, politici e d’immagine.

Le attività degli ispettori andranno avanti mentre nel Paese ribelli e truppe governative continueranno a combattersi. Nel bagno di sangue che prosegue da oltre due anni sono rimaste uccise almeno 115 mila persone, almeno secondo i dati dell’Osservatorio siriano per i diritti umani (Osdu), con sede a Londra e vicino all’opposizione. La maggior parte delle vittime però sono combattenti dei due fronti e non civili. Tra i morti ci sarebbero 47.206 militari e combattenti fedeli al presidente Bashar Assad e 23.707 ribelli. Tra loro, 28.804 erano soldati regolari, 18.228 miliziani pro-regime e 174 membri del movimento sciita libanese Hezbollah. Sul fronte dei ribelli, 17.071 vittime erano civili che avevano preso le armi contro Bashar Assad, 2.176 disertori dell’esercito e 4.460 jihadisti stranieri uccisi in battaglia. 41.533 civili hanno perso la vita in guerra, tra i quali 6.087 bambini e 4.079 donne.  Tra questi ci sarebbero anche le sedici persone, in maggior parte studenti e insegnanti, uccise qualche giorno fa, pare, in un raid dell’aviazione governativa a Raqqa, città nelle mani dei ribelli nel nord della Siria. Secondo Human Rights Watch, le Forze armate siriane in questi ultimi tempi avrebbero fatto uso anche di bombe termobariche, ordigni costituiti da un contenitore di liquido altamente infiammabili.

Diciassette Paesi nel frattempo si dicono pronti ad aprire le loro frontiere a circa 10 mila profughi siriani. Lo ha annunciato ieri a Ginevra Antonio Guterres, Alto commissario per i rifugiati delle Nazioni unite. Fra di essi figurano diversi Stati europei ma non l’Italia. Da parte sua un’altra agenzia umanitaria, il Programma alimentare mondiale (Pam), punta a far salire a 4 milioni il numero di beneficiari di aiuti alimentari in Siria.  «Lavoriamo nei 14 governatorati della Siria, sia nelle zone controllate dal governo sia in quelle controllate dall’opposizione”, ma ci sono ”zone che non possiamo raggiungere», ha detto Muhannad Hadi, rappresentante del Pam in Siria. Le Nazioni Unite stimano che 6,8 milioni di siriani hanno bisogno di aiuti umanitari, tra i quali circa 4,25 milioni di sfollati interni e 2,1 milioni di rifugiati fuggiti nei Paesi vicini.