Contro l’esistenza degli ibridi semiumani che popolano tanti dei miti antichi più famosi, già Lucrezio aveva brandito il suo razionalismo demolitorio: come sarebbe possibile per due nature tanto diverse – umana e animale – convivere e crescere insieme nello stesso organismo? Ma i miti non vivono certo in ragione della loro verisimiglianza. E se i centauri e le scille negati da Lucrezio sono da tempo relegati all’inerzia variopinta degli antichi testi e dei bestiari fantastici insieme a satiri, minotauri e sfingi, ben diversa sorte è toccata alle sirene.
Come sia stato possibile per queste creature tuffarsi da uno scoglio nell’Odissea e affiorare dallo schermo di un computer quasi tre millenni dopo, impervie al trascorrere del tempo, lo spiega con ricchezza di dettagli Elisabetta Moro nel suo nuovo libro Sirene La seduzione dall’antichità ad oggi (il Mulino «Intersezioni», pp. 220, e 15,00). Scritto senza posture accademiche e con poche concessioni alle strutture teoriche, esso partecipa in un certo senso della natura ibrida del suo soggetto: lascia implicita la mole della ricerca che lo sottende e si fa tutto racconto, conducendo il lettore all’inseguimento delle sirene sulle rotte del mito, della letteratura e della cinematografia, fino alle loro ultime e contemporanee incarnazioni sul web.
Quando avrà esaurito i quattro capitoli, ricchissimi di dati e di spunti, il lettore scoprirà la rete di mille possibili letture trasversali che si estendono dall’uno all’altro. Potrà per esempio leggere le pagine dedicate alla Pelle di Malaparte – l’orrifico banchetto a base di sirena nella Napoli occupata della guerra – come l’ideale prosecuzione del primo («Sirene nel mito, sirene nella storia dell’Occidente»). Qui si parte da Omero per arrivare a Napoli sotto il segno della sirena Partenope, fondatrice venerata e ritratta ovunque nella città incantevole che più di tutte somiglia a una creatura del mare. Tale era il potere evocativo di Partenope per i napoletani – racconta la Moro – che nel Cinquecento la Chiesa cattolica tentò di sostituirla con un’altra e più consona vergine, stavolta cristiana, Santa Patrizia, un tentativo di «colonizzazione dell’immaginario pagano» solo parzialmente riuscito. A dimostrazione, una volta di più, di come le sirene siano l’esempio perfetto di «significante fluttuante» descritto da Lévi-Strauss: capace di catalizzare i nostri desideri e incarnarli, di assumere e restituire sempre nuovi significati senza perdere la propria riconoscibilità.
Un altro filo di continuità imprevedibile, sotto le squame argentee, è quello della violenza e del trauma, che unisce incarnazioni delle sirene lontane quanto Apollonio Rodio da Andersen. Non solo assistiamo in Omero al suicidio delle sirene sconfitte da Odisseo: secondo il poeta delle Argonautiche le fanciulle avevano ottenuto le ali da Zeus per volteggiare sul mare alla ricerca di Persefone, loro amata compagna prima che Ade la rapisse. Mentre la celeberrima «Sirenetta» danese perde invece il suo stucchevole sapore edificante quando la si decifri come la trasparente confessione a chiave dell’omosessualità dell’autore. Nella storia della non-donna che deve tacere i propri sentimenti e soffrire a ogni istante come prezzo per godere della vicinanza dell’amato, Andersen adombrava il suo amore impossibile per l’amico Edvard Collin, che si sarebbe poi sposato, come il principe della favola. L’importanza dell’archetipo della sirena (o meglio della Sirenetta) per l’immaginario gay è d’altronde comprovata dall’adattamento Disney (cap. III), del quale lo sceneggiatore Howard Ashman, morto quarantunenne di Aids nel 1991 e gay dichiarato, fece un inno all’inclusione e alla diversità, con personaggi come la strega del mare Ursula modellati sulla famosa drag queen Divine.
Ma se il corpo stesso delle sirene, come dice l’autrice, ha una «tendenza costitutiva, e perpetua, alla metamorfosi», la più straordinaria è senz’altro quella che, a un certo punto, le trasformò da donne-uccello a donne-pesce. Da quasi-arpie dotate solo in potenza dell’elemento acquatico (sono figlie del fiume Acheloo) ad ambigue fanciulle caudate, che sommano al potere della voce quello di una bellezza tanto più disperante perché preclusa agli amplessi umani dalla loro stessa morfologia (ma Tomasi di Lampedusa non si lasciò scoraggiare, nel racconto Lighea). In questo processo durato secoli, con una lunga coesistenza dei due archetipi, ittiomorfo e ornitomorfo, l’autrice propone, con prove iconografiche, di individuare il punto d’avvio, la prima donna-pesce, nella Dea Siria, oggetto di un culto antico molto importante con centro a Hierapolis, sede del suo santuario, del quale oggi niente ci rimane. La dea, bellissima, nata da un uovo caduto nel fiume Eufrate, protettrice dei pesci e delle colombe, presenta analogie di fondo con le sirene greche tali da approdare a «una omologia che le ha rese interscambiabili».
«Ho visto in Fenicia una statua [della dea] dall’aspetto insolito: per metà è donna, mentre dai fianchi in giù ha la coda di un pesce». Lo racconta Luciano nel trattato De dea Syria, testo al centro dell’analisi della Moro e ora disponibile nella traduzione italiana con commento e introduzione di Francesco Sorbello (La dea Siria, testo greco a fronte, prefazione di Anna Beltrametti, La Vita Felice, pp. 280, e 14,50).
Il testo lucianeo contiene preziose notizie etnografiche e cultuali su Hierapolis e la sua dea, ma sbaglierebbe chi facesse prevalere il contenuto sulla forma. Luciano, secondo suo solito, mette in atto un raffinato gioco letterario: attraverso «l’uso del dialetto ionico, gli omerismi, i calchi erodotei» ottiene di imitare alla perfezione lo stile etnografico di Erodoto. Che però è autore da lui spesso criticato per la scarsa affidabilità storiografica. In che chiave leggere allora, nel De dea Syria, le continue proteste di veridicità e autopsia di fronte a eventi o racconti inverosimili? Come ben dice Sorbello «il fatto che l’autore si presenti come fonte affidabile non comporta che tutte le sue parole siano veritiere»: ma forse è inevitabile che anche le fonti si trasformino sotto i nostri occhi quando diamo la caccia alle sirene.