Francesco Sinopoli, segretario della Flc Cgil, perché avete dichiarato sciopero della scuola con Uil, Gilda e Snals venerdì 10 dicembre?
Il governo Draghi ha fatto una scelta molto precisa: al di là delle dichiarazioni roboanti e dei patti sottoscritti con i sindacati, disinveste sulla scuola pubblica, confermando la tendenza che va avanti da almeno 15 anni, ma che adesso suona ancora più insopportabile, sbagliata e ingiusta dopo due anni di pandemia. Con una legge di bilancio da 33 miliardi è previsto un fondo di 210 milioni di euro. Servirebbero 350 euro al mese per adeguarsi alla media europea, ma da questo fondo vengono tutt’al più appena 87 euro più 12 euro per premiare una non meglio definita «dedizione professionale».

La dedizione?
Sì, la dedizione. Un insulto a persone che prima e ancora di più in questi due anni terribili hanno lavorato a scuola. E poi come si determina la «dedizione»? Chi lo decide?

Come spiega l’atteggiamento di Draghi che promette di aprire le palestre, investire nella scuola e poi non aumenta gli stipendi già bassi a chi ci lavora?
Ho l’impressione che siamo fermi all’idea della scuola come secchio bucato nel quale non bisogna mettere risorse perché, loro pensano, sono sprecate. Avevamo avuto le avvisaglie di questo approccio all’indomani della firma sul patto dell’istruzione purtroppo inattuato. Credo che in questo governo ci sia un’anima conservatrice, la stessa che ha caratterizzato la stagione dei tagli e del neoliberalismo all’italiana.

Che cosa intende per «neoliberalismo all’italiana»?
È l’idea per cui la scuola è un problema da trattare con i criteri del management attento all’efficienza gestionale e alle gerarchie, senza affrontare il lavoro e la valorizzazione delle professionalità. È la stessa impostazione che vediamo al Centro Nazionale delle Ricerche dove ci sono 350 precari che rischiano di non essere assunti e la riforma dell’ente è vincolata al parere di un comitato esterno. Mi chiedo chi pensi queste politiche. L’impressione è che non siano pensate al ministero dell’istruzione, ma tra il Tesoro e Palazzo Chigi. Questo è un problema democratico.

Il ministro dell’Istruzione Bianchi non è capace di imporre al suo governo la priorità del settore che guida?
Credo che in questo momento il ministro sia in difficoltà, non è un giudizio è un fatto oggettivo. Fa specie che rispetto agli altri settori pubblici la scuola è trattata peggio. Non ci sono più alibi, è una scelta deliberata. Non è solo questione di salario, ma non si proroga nemmeno l’organico Covid, già ridotto rispetto al passato. Questo governo sta facendo peggio di quello Conte.

Nel Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) ci sono 1,5 miliardi solo per gli istituti tecnici superiori (Its). Come lo spiega?
Gli Its non sono un problema in sé, il problema è che l’istruzione sia configurata ad uso e consumo dei bisogni attuali del mercato del lavoro e di un sistema produttivo che ha molti problemi. Bisogna integrare anche l’istruzione tecnica nel sistema pubblico, non configurarla in base alle esigenze di alcune imprese. Le risorse del Pnrr non devono essere risorse una tantum, ma devono essere consolidate progressivamente nella spesa sociale, come del resto sta avvenendo con l’università. È condivisibile aumentare il tempo scuola, ma questo significa aumentare l’obbligo scolastico a 18 anni e non diminuire la durata dei licei. E bisogna aumentare gli organici per combattere la dispersione scolastica. Insomma stanno facendo l’opposto di quello che andrebbe fatto. La legge di bilancio è la conferma di questo approccio ed è un segnale molto negativo.

Nel Pnrr si investono 5 miliardi sull’edilizia scolastica, in particolare negli asili. Cosa ne pensa?
Per carità, abbiamo un‘emergenza sulle infrastrutture, serve un investimento sull’edilizia anche su quella dell’infanzia, le palestre, le mense. Ma c’è bisogno di un investimento sul personale, è questo che manca. È su questo che vogliono risparmiare. È il solito ritornello ideologico: vi diamo quattro spicci solo se siete ligi al nostro modello.

Allo sciopero non aderisce la Cisl. È una rottura?
Penso che abbiano fatto una valutazione di categoria sulle forme di lotta. Noi pensiamo che lo sciopero è uno strumento da utilizzare quando serve.

Un sondaggio de «La tecnica della scuola» dice che 7 docenti su 10 aderiranno allo sciopero. Cosa vuole dire ai questi lavoratori?
È un buon segnale. Questo è il momento di rivendicare ciò che è giusto, è il momento del conflitto. Sappiamo che c’è tanta sfiducia, due anni di pandemia non hanno cambiato la situazione, ma questo paese non si cambia da solo.