Un promettente critico letterario nordirlandese che lavora attualmente negli Stati uniti, ha ieri twittato: «Se in Irlanda vince la sinistra, in America non ci torno più». Si riferiva alla possibilità che Sinn Féin risulti il primo partito alle elezioni, come sembrano indicare tanti sondaggi della vigilia.

Sinn Féin, ovvero “noi da soli”, fondato nel 1905 da Arthur Griffith, nacque come formazione politica nationalist e anti inglese che coalizzò attorno a sé in principio forze di diversa estrazione. Ma il loro nazionalismo è da sempre un nazionalismo di resistenza. Basti pensare che oggi, senza Sinn Féin, e senza il passo indietro che chiesero di fare all’Ira quasi due decenni fa, sarebbe inconcepibile persino quello stesso processo di pace su cui si fonda l’attuale società nordirlandese. Ma per comprendere a fondo questo passaggio, bisogna fare un passo indietro.

Sin dal 1969, anno in cui il partito si ristruttura in risposta ai tumulti scoppiati nel Nord per via della sanguinosa repressione britannica del Movimento per i diritti civili, Sinn Féin si autodefinisce «il principale sostenitore di una Repubblica Socialista di 32 contee». Oggi la Repubblica, vale a dire il Sud, ne conta 26 di contee, poiché 6 sono ancora sotto l’egida della Corona inglese; e contro questo scenario Sinn Féin continua a battersi.

La comparsa sul campo del Movimento per i diritti civili alla fine degli anni sessanta – considerando che in Irlanda del Nord vigeva uno stato di vera segregazione e di deprivazione dei diritti della comunità cattolico-repubblicana-nazionalista – contribuì a fare di Sinn Féin il partito principale della sinistra irlandese. Da allora, parallelamente all’Ira, i suoi affiliati portano avanti una lotta che da un lato, quello identitario, punta all’autodeterminazione, e dall’altro, quello politico, abbraccia i valori dell’internazionalismo socialista.

Quegli anni di svolta coincisero con l’ascesa, nel partito, di Gerry Adams, e nell’Ira, di Martin McGuinness. Passando per il cruento sacrificio di Bobby Sands e compagni nel 1981, e per tante altre vicissitudini dolorose, la lungimirante leadership di Sinn Féin gettò le basi per il raggiungimento di quegli accordi di pace del 1998 su cui si fonda l’attuale equilibrio politico tra le due maggiori comunità del nord.

McGuinness divenne addirittura, nel 2007, vice-primo ministro di un esecutivo misto di cui il premier era nientemeno che l’acerrimo nemico di un tempo, il reverendo Ian Paisley, per decenni odiatore di professione e fondatore nel 1971 del Dup – il partito unionista che si è spesso prestato a incursioni della destra filo-fascista (tranne quella nostrana, va detto, che per qualche motivo arcano ha sempre simpatizzato per i repubblicani).

Basti solo questo dettaglio a far comprendere, da un lato il grande sforzo di Sinn Féin di venire a patti col nemico pur di ottenere una qualche forma di pace – o di pacificazione, come sostengono i detrattori – e dall’altro, la grande capacità politica di un partito che ha scelto di dismettere la divisa di “ala politica” dell’Ira, per poi convincere l’Ira stessa a dichiarare il famoso “addio alle armi” nel luglio del 2005.

Oggi Sinn Féin ha due donne come Leader, Mary Lou McDonald, presidente del partito e referente per la Repubblica, e Michelle O’Neill, vice-presidente e referente per il Nord, oltre che vice-primo ministro del Nord. Ma se a Belfast l’agenda politica di Sinn Féin prevede come priorità, oltre alla lotta contro le grandi diseguaglianze sociali tuttora esistenti (disoccupazione, case popolari, sanità…), soprattutto la riunificazione delle due Irlande, nel Sud su quest’ultimo punto si è tradizionalmente più cauti, per via della consapevolezza di un diverso tipo di elettorato abituato a decenni di benessere, seppure con qualche crisi nel mezzo.

Di conseguenza, nel Sud McDonald punta assai di più sulle questioni sociali tipiche della sinistra; ma se oggi la sua strategia dovesse risultare vincente tanto da consentirle di andare persino al governo della Repubblica, si aprirebbero sicuramente nuovi scenari di collaborazione tra i due esecutivi irlandesi, perché sarebbero entrambi a trazione repubblicana, ed entrambi a trazione Sinn Féin.