Domenica scorsa a Roma al seminario dell’associazione ’Possibile’ con Civati; venerdì a Milano un dibattito fra Vendola, Fassina e ancora Civati. I rapporti fra Sel e un pezzo – ormai però bisogna dire un pezzetto – della minoranza Pd si infittiscono, spiega Massimiliano Smeriglio, numero due della Regione Lazio e capo dell’organizzazione di Sel.

Però la discussione sul jobs act, nel Pd, è chiusa. Gran parte delle minoranze lo votano sì.

Purtroppo. Invece è evidente che la legge non permette atteggiamenti emendativi da sbandierare come vittoria. Ma il vero punto è la qualità della fase che stiamo attraversando: da una parte la montante marea verde-nera, dall’altra il partito della nazione. Non si può pensare al medio-lungo periodo, quando saremo tutti morti, com’è noto. Serve uno shock.

Quale shock?

C’è bisogno di una presa di responsabilità, di un ritorno ai fondamentali: perché le persone di sinistra fanno politica, per cambiare, o per emendare Renzi? L’impianto che propone Renzi, sia sul lavoro che sulla tenuta democratica è irriformabile. Sull’idea che il primo partito, fra il combinato disposto di premio di maggioranza e doppio turno, decida il governo, il capo dello stato, il presidente della Corte e intervenga in maniera massiccia sul Csm, bisognerebbe rispondere con più responsabilità e libertà.

Renzi però vi offre lo sbarramento al 3%. Non è poca cosa.

Piuttosto direi che ci lancia un tozzo di pane, un osso. E poi forse neanche lo farà. Ma noi non siamo nati per svolgere un diritto di tribuna, o rappresentare la sinistra radicale 2.0, ma per svolgere un modello alternativo di governo. Il partito della nazione invece è un blocco centrale, tecnocratico, populista, si muove sul filo del sondaggio e non affronta i problemi strutturali del paese. E allora noi siamo a disposizione. Faremo una conferenza programmatica, e speriamo che sia un momento di scioglimento e ripartenza.

Potreste sciogliere Sel?

Anche. Sel dovrà avere molta pazienza nell’interlocuzione con i compagni del Pd. Ma loro devono avere coraggio. Non chiediamo oggi la nascita di un soggetto, ma la costruzione di un’area che difenda la democrazia, i beni comuni, il lavoro, il salario, il reddito.

Insisto: saranno in pochi a votare no al jobs act.

Non penso che alla quantità dei parlamentari corrispondano processi reali in maniera meccanica. Però vedo che un’opposizione reale si è espressa nelle mobilitazioni sindacali e nello sciopero sociale. Un gruppo dirigente di sinistra si deve porre il problema di come rappresentare quello che si muove nel paese per non relegarlo nell’oblio. E per non regalarlo a forme regressive di rappresentanza. Renzi è un format televisivo generalista, i populisti in camicia nera si territorializzano, M5S si muove sulla rete. Una dialettica politica fra Renzi, Salvini e Grillo sarebbe il disastro per il paese. La ricostruzione della sinistra non conta su quanti deputati, ma certo sulla responsabilità di alcune leadership.

Intanto nel Pd c’è chi vorrebbe escludervi dalla giunta di Roma.

Non mi pare, ma se fosse così si andrebbe al voto.

Noi teniamo la barra sull’alternativa di governo in Calabria, Emilia Romagna, e in tutte le esperienze in corso a Milano, Roma, Cagliari, qui nel Lazio.

Però invocate la scissione Pd.

Le scelte che faranno i nostri naturali compagni di percorso, da Civati a Fassina a Cuperlo, saranno importanti. Questa finestra, quest’opportunità di mettere insieme una rappresentanza non durerà a lungo, si gioca nei prossimi due o tre mesi. E l’azione che stiamo sviluppando, anche con i compagni della lista Tsipras, è ripensare un campo che abbia questa ambizione. Quanto a noi di Sel, dalla conferenza di programma alle iniziative in tutte le città siamo su questo punto. E non abbiamo bisogno di rivendicare primogeniture. Se domattina Civati dice ‘metto a disposizione l’associazione Possibile’ che a noi piace anche perché somiglia a ’Podemos’, siamo pronti: a costruire un campo e una leadership plurale. Anche perché dell’idea dell’uomo solo al comando non se ne può più.