In un libro di Steven Johnson – citato all’inizio del bel volume di Tiziana Terranova Cultura network (2006, Roma, ed.Manifestolibri) – si dice «Everything Bad Is Good For You», vale a dire tutto quello che ti fa male, ti fa bene. Il riferimento riguarda taluni aspetti della cultura di massa, considerati dall’aristocrazia intellettuale pura banalità, essendo invece pieni di segni e di tracce narrative assai più complessi. Lo stesso riferimento, mutatis mutandis, si potrebbe applicare alla vicenda politica. Ciò che appare leggero e transeunte, occasionale e contraddittorio, vedi Renzi e i discorsi dei nuovi fedeli del capo, va preso sul serio. Si tratta di un profondo cambiamento della stessa antropologia politica. Persino al di là dei contenuti manifesti, appare chiaro come sia avvenuta una “rottura”, non una – pur forte – mutazione. Il Pd non sarà (mai?) più una forza di sinistra o di centrosinistra, per assumere piuttosto le sembianze di un’organizzazione di marketing elettorale, nelle modalità descritte efficacemente sul manifesto dello scorso primo marzo da Piero Bevilacqua.

La resistenza a simile tendenza si è rivelata debole. E’ il momento di costruire un’alternativa, come Pippo Civati ha indicato, ma superando le incertezze. E come ha dichiarato Stefano Rodotà. L’occasione per mettere in cantiere un processo di ri-costruzione di una moderna sinistra riformista (in grado di leggere la modernità dei conflitti, in luogo dei bla-bla nuovisti) è la questione dell’Europa. Tra poco si voterà per il parlamento di Strasburgo e per la leadership di Bruxelles: qui è il banco di prova. Ha posto con nettezza i problemi Nichi Vendola. Serve una svolta nettissima. Le linee economiche e finanziarie dettate in Europa sono la malattia, non il medico. Decisioni assurde e autoritarie come la richiesta agli stati membri di mettere nelle costituzioni il pareggio di bilancio o il fiscal compact hanno dato un contributo fortissimo alle crisi sociali devastanti che hanno investito il continente. La Grecia non a caso ha espresso nella lotta concreta una delle esperienze di maggiore interesse della politica recente, Syriza, da cui è scaturita l’efficace candidatura di Tsipras alla guida della commissione Ue. E sempre non a caso la tradizionale sinistra europea si è orientata sul bravo socialdemocratico tedesco Schulz, che ha proposto un programma lontano dalle logiche liberiste, delle quali le stesse sinistre sono state – però – complici controfigure. Ecco. In questo periodo è lecito attendersi la maturazione di un soggetto nuovo. Nuovo in tutti i sensi. Né partito, né mera raccolta dei delusi o dello scontento. E la rete è l’efficace antidoto rispetto all’ubriacatura della tv generalista della lunga stagione di Silvio B. La ricchezza cui guardare è l’universo interessante e mobilitato che ha partecipato alle primarie del Pd, il popolo che ha sfilato il 12 ottobre del 2013 a difesa della carta costituzionale e contro l’inerzia berlusconiana, i movimenti civili che spesso si sono riconosciuti in 5Stelle. Il “grillismo”, del resto, va affrontato con la battaglia delle idee, non con le abiure contro i populismi. Sì, è importante pensare a un gruppo al senato, ma serve una strategia.

Il presupposto della praticabilità di un’alternativa (non populista, ma popolare) sta nel fatto che il vento faccia il suo giro e che l’attuale morfologia del sistema politico non regga. E, infatti, non reggerà molto, perché l’impianto su cui poggia il tentativo di Matteo Renzi non ha effettivi riferimenti sociali. Al di là dell’efficacia mediatica e della carica simbolica. Suppone un’Italia egemonizzata da culture moderate e innovative. Che da tempo hanno lasciato il passo a moltitudini angosciate e impoverite e a gruppi di potere duri e talvolta spietati. E poi, lo stesso pasticcio della legge elettorale è foriero di ulteriori instabilità, piuttosto che di un vero ciclo evolutivo. Sono indispensabili strumenti di coordinamento e luoghi di confronto, mettendo in comune associazioni e circuiti che già lavorano con tali sensibilità. Non c’è bisogno di scissioni, di capriole organizzative, di improbabili liti identitarie.