Sulla sabbia in spiaggia le bambine s’inarcano nel ponte, fanno la ruota e provano la verticale. La ginnastica artistica è il loro gioco preferito, il piacere degli esercizi da provare e riprovare, con l’urletto eccitato quando riescono.
Anche Simone Biles ha un fisico minuto, 143 centimetri d’altezza, con una volontà d’acciaio tanto da essere la più famosa ginnasta del mondo. Sul suo corpetto luccicante e multicolore, l’emblema di una capra, G.O.A.T., acronimo che vale Greatest of All Time, la più grande di sempre, come Muhammad Alì o Diego Maradona, sulla base dei 4 ori olimpici (a Rio 2016), 5 titoli mondiali nell’individuale, 7 titoli nazionali statunitensi e decine di medaglie assortite nel volteggio, nella trave, alle parallele e di squadra. La sua bravura è pari solo alla sua versatilità, alla sorprendente acrobaticità, alla capacità di affrontare figure e difficoltà assolute (vincendo pure dopo svariate cadute in pedana). Eppure l’afroamericana farfalla dell’Ohio (però vive e si allena in Texas), 24 anni, non ha retto la pressione in queste giornate a cinque cerchi. Ha sbagliato l’uscita nell’esercizio al corpo libero, ha avuto un crollo nervoso rinunciando a difendere i suoi titoli olimpici e non partecipando poi alla finale a squadre, al concorso individuale, al volteggio e alle parallele simmetriche.

HA SCRITTO sul proprio account Instagram : «A volte sento tutto il peso del mondo sulle mie spalle». E ha aggiunto in conferenza stampa «Queste Olimpiadi sono davvero molto stressanti. Non avere il pubblico alle gare, dover controllare tutto. È stato un anno complicato, troppe cose da gestire, il Covid e gli allenamenti, penso che alla fine tutto questo ci abbia un po’ destabilizzato. Devo concentrarmi sul mio stato mentale e non mettere a repentaglio la mia salute e il mio benessere. Non ho più fiducia in me stessa come prima. Non so se è una questione di età. Sono un po’ più nervosa adesso quando salgo in pedana. Sento che non mi sto divertendo più come prima. So che questi sono i Giochi, volevo farli ma in realtà sto partecipando per altri, più che per me. Mi fa male nel profondo che fare ciò che amo mi sia stato portato via. Non appena salgo in pedana siamo solo io e la mia testa… e lì ci sono demoni con cui devo confrontarmi». Più volte l’atleta ha parlato di twisties, un blocco mentale che le fa perdere l’orientamento nello spazio durante l’esecuzione degli esercizi aerei, proprio il riuscire nelle figure più difficili è stato generalmente uno dei suoi tratti distintivi tanto che spesso i giudici hanno criticato la pericolosità di alcune sue scelte (a maggio ha fatto un doppio carpiato Yurchenko, una combinazione terribile di salti mortali e avvitamenti). «Lo faccio perché sento di poterlo fare», abitualmente il suo commento, dopo che alcuni complicati suoi voli e capriole sono state brevettate col suo nome. A Tokyo, invece, «sento che il mio corpo e la mia mente non sono sincronizzati».

Probabilmente questa fragilità psicologica, sua e di altri come la tennista Naomi Osaka, è un segno di queste Olimpiadi rinviate di un anno. Tali competizioni sportive hanno portato in primo piano il personaggio del mental coach, il trainer d’aiuto al massimo rendimento in gara, evidenziando l’attivazione psicologica positiva col gusto della passione e del piacere dell’esperienza. Lavorando a smussare lati negativi, pressione eccessiva, l’ansia che annulla le energie vitali, quella giusta lucidità e serenità utile alla gara. Anche i nostri dorati campioni, Jacobs e Tamberi, si sono affrettati a ringraziare i loro mental coach che hanno saputo migliorare la respirazione del velocista e la concentrazione del saltatore. Persino il Cio ha colto la gravità del problema allestendo una squadra di psicologi nel villaggio per fronteggiare il disagio mentale così diffuso.

IERI, ritrovando la fiducia smarrita, con umiltà e tenacia, Simone Biles è tornata a gareggiare nella trave, una specialità ostica per il necessario mantenimento dell’equilibrio in spazio limitato, con movimenti che richiamano il corpo libero. Una trottola, le capovolte rovesciate all’indietro fino all’uscita volante con salto mortale, salutata da una lunga standing ovation del poco pubblico, premiata con la medaglia di bronzo, dietro le due atlete cinesi, Guan Chenchen, oro, e Tang Xijing, argento. Da qualche settimana è in circolazione negli States, Biles vs Herself, un documentario che ha seguito passo dopo passo la preparazione alle Olimpiadi della leggendaria ginnasta, un modello di riferimento e fonte d’ispirazione anche per tante semplici praticanti. Un’autentica lotta contro sé stessa, il suo tendere all’eccellenza superando i limiti con un durissimo addestramento psico-fisico, sacrificando l’emotività e l’istinto in nome di un amore immenso per il magico saltare, volteggiare, avvitarsi in aria. Piccola, fragile e (quasi) perfetta.