Quanto la scrittura di Simenon sia legata all’acqua dicono le molte storie in cui canali, torrenti, mari e dighe, ma anche solo pioggia incessante, fanghiglia e coltri di neve, hanno ruolo decisivo, non solo paesaggistico, ma compartecipe, corresponsabile. È un «vapore puzzolente di merluzzo», peraltro, il teatro del primo tra i suoi «romans durs», Il passeggero del Polarlys, pubblicato nel 1932 (Adelphi, 2016). Una nave sulla rotta Amburgo-Kirkenes, in mezzo a «brandelli di nebbia». A pochi anni di distanza, nell’estate del 1934, Simenon propone un’altra crociera – la sua questa volta, in acque senza brume, solari e calde come sono quelle del Mare Nostrum – pubblicata a puntate e poi raccolta, con altre, nel voluminoso Mes apprentissages. Le tappe e le bonacce del viaggio sono raccontate in prima persona, in tono affabile, spesso rivolto ai lettori con una confidenza adatta all’agilità della scrittura e al morbido divagare che traduce sulla pagina l’atmosfera della navigazione, gli approdi scelti o casuali, l’intrusione dei ricordi nelle giornate d’attesa, nella dolcezza del caldo e dell’inerzia. Il Mediterraneo in barca (traduzione di Giuseppe Girimonti Greco e Maria Laura Vanorio, con una nota di Matteo Codignola, Adelphi «Piccola Biblioteca», pp. 189, € 16,00) inaugura la pubblicazione dei reportage di Simenon, completamento dell’opera integrale pubblicata dalla casa editrice di Calasso, e fruttifera pista per scoprire – tracciare con estrema precisione – i bottini preparatòri ai suoi romanzi. Bottini di esperienze, di volti, di moli affollati e di quartieri equivoci, di promontori e golfi. A render chiaro quanto Simenon lavorasse sempre, anche nelle lunghe crociere, sono alcuni splendidi scatti. Formato Leica, bianco e nero, inquadratura sempre rivelatoria. Traduzione visiva della curiosità e della perspicacia con cui Simenon osservava e catturava la realtà: attenzione completa – sguardo d’insieme e dettaglio minuto –, che i lettori dei suoi romanzi gli conoscono. Ottima, dunque, per chi voglia indagare con gli occhi di Simenon e recuperare i palinsesti visivi della sua narrativa, la scelta editoriale di inserire, senza didascalie, immagini non amatoriali – ha ben ragione Codignola –, ma «scattate con un mestiere sorprendentemente solido», un po’ «rubato» al fotografo ceco Hans Oplatka che nel ’31 l’aveva accompagnato in un reportage sui canali francesi.
Il Mediterraneo in barca ha come apparente stimolo alla scrittura il desiderio di dare «una definizione» del nostro mare, definizione raggiungibile, forse, solo per accumulo. È «piccolissimo», è «un córso» simile «alla strada principale di una città di provincia». È solcato da navi di ferraglia, da mercanti, divi del cinema, banchieri americani, ministri egiziani, emigranti e studenti. È l’avvicendarsi di «isolette scoscese», di equipaggi «sordidi ed eroici», di «turisti sballottati». È un «campo di golfi»; è l’acqua così limpida che se ne vedono pesci e alghe a dieci metri di profondità, «uno spettacolo che, i primi tempi, mi dava alla testa» – ebrezza visiva che tornerà quasi vent’anni dopo, in un romanzo del ’50, Le persiane verdi, il cui protagonista contempla dalla barca i pesci nella vegetazione che ondeggia su fondali lontani, quasi «mucche al pascolo».
La crociera sulla goletta, nave dalle vele quadre, è l’occasione per raccontarsi al lavoro – «nudo» e sudato in cabina, o esiliato, dai marinai che ridipingono la barca, in una casa incompleta e di fortuna all’Elba, ricordo del romanzo scritto nella stiva di una nave incagliata in un porto olandese, con piedi ammollo e «colonie di ratti». Ma è soprattutto l’occasione per riflettere tra stili di vita e classi sociali, e cogliere povertà, asini, pesca di vermi da esca ma totale assenza di discorsi sulla «crisi» a fronte di ambizioni agricole aziendali nel Nord-Europa e di protervia economico-culturale negli Stati Uniti. Non vuole «esprimere un’opinione», né scegliere tra America e Mediterraneo, eppure non serve leggere tra le righe, quando oppone i nuovissimi «Partenoni» di Washington ai quattro o cinque strati di civiltà di Siracusa. O l’imperialismo inglese che ha circondato Malta di cannoni e reso triste anche l’amore, alla disinvolta, generosa e aristocratica libertà dei «nomadi del mare».