Qassem Rajabi è il primo ferito della temuta campagna di demolizioni nel rione di Al Bustan, nel quartiere palestinese di Silwan ai piedi della città vecchia di Gerusalemme. I poliziotti lo hanno portato via in manette, con la testa fasciata. Aveva provato ad opporsi alla distruzione del suo negozio, una macelleria costruita senza il permesso del comune. Altri 12 palestinesi sono rimasti contusi nei tafferugli con gli agenti. «Quel negozio era la nostra vita, la fonte del pane che la mia famiglia metteva a tavola», ha raccontato Rajabi ad amici e parenti giunti a confortarlo. L’uomo, come altri abitanti di Silwan con abitazioni illegali, ha detto di aver chiesto il permesso edilizio più volte, senza successo, e di aver dovuto aprire il suo negozio illegalmente pur di sopravvivere.

Questa però non è una storia di abusivismo edilizio o di sfratti di famiglie morose. Come a Sheikh Jarrah, anche a Silwan l’espulsione di famiglie palestinesi dalle loro case è un progetto politico imbastito da coloni israeliani per dare vita a un «parco biblico» nell’area dove ora sorgono le case «abusive». Da anni decine di famiglie palestinesi lottano nei tribunali per fermare le demolizioni notificate nel 2005. Senza successo, hanno presentato alla municipalità di Gerusalemme soluzioni alternative. Per 52 case le demolizioni sono sospese fino al 15 agosto ma per 16 proprietà, tra cui la macelleria Rajabi, l’ordine di espulsione è esecutivo da domenica scorsa. Altre 25 famiglie attendono le decisioni dei giudici.

Le vicende di Silwan e Sheikh Jarrah sono esplosive. A maggio migliaia di palestinesi, anche in Israele, hanno occupato le strade per contestare demolizioni ed espulsioni da case e terreni reclamati da organizzazioni di coloni come proprietà ebraiche prima del 1948. Ai palestinesi invece non è concesso chiedere la restituzione delle loro proprietà confiscate in massa dopo la nascita di Israele. A Gerusalemme Est più di 100.000 palestinesi sono a rischio di sfollamento, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha) e circa 330.000 affrontano una drammatica carenza di alloggi a causa della pianificazione discriminatoria dettata dalle politiche urbanistiche israeliane. Solo il 13% di Gerusalemme Est è edificabile e in gran parte di queste aree non c’è spazio per nuove costruzioni.

Non hanno da temere invece i coloni che si lanciano alla conquista delle colline palestinesi in Cisgiordania creando avamposti illegali anche per la legge israeliana oltre che per quella internazionale. I loro leader ieri hanno accettato la soluzione di compromesso proposta dal governo di Naftali Bennett sull’avamposto di Evyatar, contro il quale si battono gli abitanti del villaggio di Beita (già quattro palestinesi uccisi dall’esercito). 53 famiglie di coloni lasceranno Evyatar che, sebbene illegale, non sarà distrutto in attesa che si arrivi a una decisione definitiva sul suo destino. Di fatto è il primo passo verso la legalizzazione.