Bisogna fare qualcosa. Già, ma che cosa? A questa domanda il Pdl non sa rispondere e Silvio Berlusconi neppure. Far saltare il governo adesso non si può, aspettare la Cassazione neppure: a quel punto la partita per il Cavaliere potrebbe essere già chiusa. Non resta che uniformarsi alla solita parola d’ordine: rinviare.
Il Berlusconi furioso arriva a Roma a metà mattinata e si precipita a palazzo Grazioli, dove lo aspetta lo stato maggiore al gran completo. L’incontro con Enrico Letta è fissato per la sera. Per intanto, il ruggente invia segnali minacciosi. Si cancella dalla commissione Affari costituzionali del senato, dalla quale verranno selezionati i senatori incaricati di partecipare al comitatone costituente. In quel consesso i leader ci saranno tutti. Tirarsene fuori ha un significato inequivocabile: nel processo costituente, e dunque nella longevità della legislatura, Berlusconi crede pochissimo. Nell’aula di Montecitorio, poi, Letta parla per la prima volta senza ministri pidiellini sui banchi del governo. E’ un segno chiaro anche questo: le operazioni di sganciamento sono cominciate.

Nel vertice, invece, il supercondannato gela gli ardori bellicosi. Anticipa che a Letta dirà che il governo per ora non cade, però ci vogliono segnali precisi e forti. Meglio che il premier non si illuda: re Silvio non ha alcuna intenzione di restarsene buono ad aspettare che la Cassazione lo lasci inerme in mezzo al campo di battaglia.
Quali dovrebbero essere i segnali in questione, però, non è chiaro. Berlusconi parla di impegni sulla giustizia, ma o prende in giro o i suoi o inganna se stesso. Quel terreno per Letta è off limits. La sola idea di una riforma come la separazione delle carriere, per non parlare di eventuali leggine ad personam per salvare il reprobo dall’interdizione dai pubblici uffici è fuori discussione. La base non capirebbe. Una buona parte del vertice nemmeno. Già così c’è chi scalpita per tagliare i ponti con Arcore: i renziani certo, ma anche Rosi Bindi che si chiede senza perifrasi sino a quando si potrà andare avanti governando con Berlusconi. E in serata anche Guglielmo Epifani va all’attacco: «Il governo non può dipendere dalle scadenze giudiziarie di Berlusconi». Insomma, ficcare le mani nell’alveare della giustizia sarebbe la fine del governo. Letta lo sa, e lo sa anche Berlusconi. Le chiacchiere sulla giustizia sono spese a puro scopo di propaganda.
Il punto chiave è un altro, e naturalmente è il fisco. Letta ha strappato la sospensione dell’aumento dell’Iva per tre mesi. Più di così non può fare. Il Cavaliere può solo adeguarsi o rompere. Si adeguerà. Tra i suoi, i duri strillano. Brunetta assicura che «il rinvio è una presa in giro» e se si insiste su questa strada «non ci sarà più maggioranza». Per Capezzone il rinvio «è solo un’aspirina». A piazza Farnese Giuliano Ferrara raduna una variopinta truppa al grido di «Siamo tutti puttane». I parlamentari, incontrando nel pomeriggio il capo, ipotizzano dimissioni, la defezione di massa. Ma è proprio lui, il quasi interdetto, a frenarli. Nervi a posto, amici. Perché se salta questa maggioranza Napolitano farà di tutto per farne nascere un’altra, e non è detto che non ci riesca. Il suo monito, del resto, arriva puntuale: la continuità di governo è condizione essenziale. Ma bisogna frenare la rabbia soprattutto perché lo strappo a cui pensa il leader del Pdl non può essere troppo a ridosso di una sentenza che lo riguarda.

Ma forse c’è una ragione in più per evitare colpi di testa. L’ex premier sta quasi certamente preparando la “mossa del cavallo” che dovrebbe permettergli di affrontare le elezioni anche in caso di interdizione: passare il testimone a lady Marina, l’amata figlia, e poi darle una mano da par suo in campagna elettorale. Secondo Luigi Bisignani la cosa è già fatta, la decisione presa. Di segnali in questa direzione, a guardar bene, nelle ultime settimane se ne sono contati parecchi. E’ giovane, è donna, è “nuova”, avrebbe a disposizione un partito a sua volta rinnovato, quella Forza Italia resuscitata a cui papà sta lavorando già da un po’. Si sa che agli italiani le monarchie ereditarie piacciono un sacco. Biancofiore e Santanchè già si commuovono.